Ticketless – Scrivere una legge
La nota del Vaticano, il Concordato impugnato, i furori estremi di laicisti e credenti non mi hanno stupito. Una storia che ritorna a ondate, monotona e inconcludente. Sono un separatista convinto, quanto inascoltato. Il difetto sta nel manico, cioè nella logica concordataria e nei suoi vincoli, opprimenti soprattutto nel mondo della scuola per il nodo insoluto dell’insegnamento della religione.
Non è però di questo che vorrei parlare. Sul disegno di legge Zan nessuno mi sembra abbia osservato una cosa per me importante ovvero quanto sia confuso e scritto male. Anche questo è un guaio antico. “L’occhiale del giurista”. Si chiamava così una pluridecennale rubrica per la “Rivista di diritto civile” tenuta da Arturo Carlo Jemolo. Mi è tornata in mente in questi giorni di discussione sulle interferenze del Vaticano, anche perché il libro su Chiesa e Stato di quel giurista insigne è stato uno dei libri più importanti nel formare il mio convincimento anti-concordatario (anche dentro l’ebraismo, beninteso: qualcuno dovrebbe ricordare agli studenti che in regime di libera chiesa e libero stato i luoghi di culto non dovrebbero differenziarsi dagli altri edifici e dunque dovrebbero essere sottoposti, tutti, a eguale tassazione).
Sull’uso pleonastico di certe disposizioni, sul modo sempre enfatico e al tempo stesso confuso di esprimersi dei nostri legislatori, lo sguardo di Jemolo, i suoi occhiali si erano severamente posati sul testo della Costituzione in un famoso saggio disponibile ancora in catalogo (Donzelli). Per esempio: l’uso di aggettivi, che nulla hanno di giuridico. L’essenziale funzione famigliare della donna (art. 37), il sacro dovere del cittadino (art. 52). E ancora: «All’art. 97 occorreva dire che i pubblici uffici sono organizzati “in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”»? Se così fosse stato non occorrerebbe oggi la temutissima riforma Brunetta dell’amministrazione pubblica. Fino alla battuta, che riletta oggi induce a un sorriso a denti stretti sulla tutela della salute: «All’art. 32 non ci si poteva arrestare a dire che la Repubblica tutela la salute, senza stare a spiegare “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, che potrebbe anche dare luogo a qualche battuta umoristica (quando sono costipato posso dire che è violato un mio diritto)?».
L’umorismo non deve farci perdere di vista i nodi, sui quali oggi tanto ci arrovelliamo. Nella definizione di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, data dalla Costituzione, il cattolico liberale Jemolo ravvisava “l’intento di condannare l’opinione di chi non crede nel diritto naturale ed in una particolare natura e particolari diritti delle società spontanee”. Stessa enfasi, stessa retorica di buoni sentimenti io ritrovo nel disegno di legge Zan. Non credo di essere un bacchettone e spero di non essere frainteso, ma avrei preferito una maggiore stringatezza, una lama verbale affilata e pungente nell’inchiodare alle loro responsabilità (senza troppi giri di parole su una espressione – identità di genere – che divide gli storici), coloro che perseguitano con i fatti, ma anche con le parole, l’orientamento sessuale diverso. Visti poi i risultati non sempre soddisfacenti e gli onesti bilanci che si vanno moltiplicando sulla scarsa funzionalità delle giornate della memoria, davvero è così fondamentale un’ennesima imposizione ministeriale, calata dall’alto, una dottrina di stato, tale dunque da offendere la libertà e la coscienza dei docenti?
Alberto Cavaglion