Storie di Libia – Lucky Nahum
Lucky Nahum, ebreo di Libia. Il doppio nome gli fu assegnato negli Stati Uniti quando ottenne la cittadinanza, due volte fortunato. La sua famiglia vantava diverse attività, palazzi, terreni e vigneti grazie alle capacità del patriarca che si era insediato in Libia. Vivevano in una magnifica villa. Il patriarca era famoso per la sua generosità verso la popolazione locale, soprattutto verso i più poveri. Una fama che purtroppo gli costò la vita: dieci arabi lo torturarono e uccisero durante una rapina.
Lucky ricorda il difficile rapporto con la popolazione araba, la necessità di evitare i luoghi in cui non era consentito agli ebrei di entrare. Con ragazzi ebrei, cristiani e alcuni arabi frequenterà la migliore scuola di Tripoli. Ci dice che gli americani non capiscono quella sorta di nostalgia per la terra in cui sei nato. Malgrado i disagi a cui fu abituato, i profumi e i suoni di quella terra sono sempre rimasti nel cuore. Indietro però non ha mai voluto tornare. Ci dice: “È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”. La sua famiglia era consapevole di camminare sulle uova. Come dicono gli americani: “Walking on egg shell”.
Se a qualcuno cadeva sventuratamente una moneta, poteva essere accusato dai musulmani di non amare il re perché il suo viso era impresso su di essa. Ricorda un amico che si era presentato all’improvviso e voleva farli scappare su due piedi. La madre era reticente, tenevano moltissimo alla loro casa. Ricorda che, per non destare sospetti, aveva poi pagato la badante islamica in anticipo avvisandola che sarebbero andati qualche giorno in vacanza. Decisero anche di trasferirsi in centro, nel cuore della città, per evitare di restare isolati in quel periodi di tumulti. Ad assisterli personalmente un parente del re che era legato alla sua famiglia. Ciò nonostante, concesse loro di partire con 25 dollari e una sola valigia a testa. La madre si occupò delle valigie. Una di queste conteneva solo fotografie, un’altra i libri di studio del fratello maggiore.
Arrivato in America, dopo una breve permanenza al campo profughi di Capua, si rimboccò le maniche con i genitori. Il padre si rimise in gioco lavorando in fabbrica e dopo poco tempo aprì una sua attività. Il fratello attualmente aiuta il governo a istruire il personale medico e paramedico circa le procedure di sicurezza negli ambienti sensibili. Lucky si dedicò agli studi, convinto che in futuro avrebbe potuto educare le persone ad essere meno ignoranti e a prevenire tanti errori. Decise poi di intraprendere una carriera nel mondo degli affari. Il benessere raggiunto l’ha spinto a fare beneficenza: ora è chairman di una organizzazione, Israel Resource Center, che ha come mission l’insegnamento per la pace. La storia ebraica, afferma, sempre ci insegna: con pochi dollari in tasca e senza recriminare per il destino avverso si possono fare tante cose. “Perché piangersi addosso per qualcosa che non possiamo cambiare invece di vivere onorando la vita che ci è dato vivere?”, riflette Lucky. La volontà di raccontare e trasmettere la storia si sta presentando ora con l’età, senza vittimismi ma con puntuale memoria dei tratti più tristi e brutali. Lucky trova che non sia facile parlarne e assapora ogni giorno la gioia di sentirsi libero. Ritiene poco sensato sperare di riavere indietro i suoi beni (la sua famiglia ci aveva provato, ma poi ha preferito lasciar perdere). La cosa più importante che vorrebbe fosse preservata è la memoria storica della Shoah. Molte persone non sapevano nemmeno che ci fossero ebrei in Libia da addirittura duemila anni e che cosa fosse loro successo. Nemmeno i libici di oggi. Lucky non si sente veramente a casa negli Stati Uniti ed è intimamente legato ad Israele dove vorrebbe vivere in una città vicino al mare. Una città con colori, suoni e odori della sua terra natia. Ma con la differenza, non irrilevante, di essere libera.
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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)
David Gerbi, psicoanalista junghiano
(5 luglio 2021)