Disintegrazione Cinquestelle
e debolezza della sinistra

Quale significato politico dare al violento duello verbale Conte-Grillo che da tempo campeggia sulle prime pagine dei nostri giornali e telegiornali? Un Movimento fondato e cresciuto sul populismo, sulla demagogia come surrogato semplificatore della democrazia, sul giustizialismo giacobino più intollerante, sulla presunta (e mai raggiunta) coesione interna agli ordini del suo Capo Fondatore con lo scopo di raggiungere e mantenere posizioni esclusive di potere sta marciando a grandi passi verso la sua inevitabile disintegrazione. O verso la sua totale “normalizzazione” in (insignificante) struttura partitica.
Per evitare una disfatta elettorale preannunciata da tempo e motivata dal globale fallimento dell’ondivago progetto dei Cinquestelle a livello nazionale e locale, il comico fondatore (che tale resta e uomo politico mai è diventato) ha pensato bene di arruolare il Giuseppe Conte nazionale (peraltro pentastellato sin dall’inizio della sua “vocazione” politica), fidando populisticamente nella popolarità indiscussa dell’ex-premier che ha traghettato l’Italia durante le fasi più drammatiche della pandemia. Ma ha fatto i conti (anzi meglio, il Conte) senza l’oste. Perché il Giuseppe nazionale non ci sta a fare da semplice comparsa accalappia-voti e non intende lasciare al suddetto comico fondatore autoproclamatosi Garante lo scettro del comando. Né è d’accordo di mantenere il carattere verticistico e movimentista insieme di quello che ormai è un inservibile carrozzone, puntando invece a trasformarlo in un regolare, efficiente (?) partito politico. Proprio ciò che il Grillo parlante rifiuta, cogliendovi un stravolgimento della sua intuizione originaria da cui il Movimento è nato. Da qui la baruffa degli ultimi giorni.
Purtroppo, questa che ha tutta l’apparenza di una gag del comico Beppe Grillo dei tempi migliori è per il Paese una questione seria e decisiva, perché investe il più ampio gruppo parlamentare nazionale. Da noi, ahimé, le scenette patetiche tra primedonne divengono emergenza politica.
Ma in tutto ciò – al di là del sollievo che alla vigilia dello sfascio del M5S avverte chi ha sempre guardato al Movimento come a un serio pericolo per la nostra democrazia – quel che seriamente preoccupa è l’assoluta passività pacificatrice della sinistra, ormai incagliata alla ruota del suddetto carrozzone pentastellato. Il PD a trazione Letta, dal quale sembrava lecito attendersi un germe di rigenerazione ideale e programmatica, una impostazione cioè volta a recuperare l’appoggio dei circoli di base e non a salvare le poltrone parlamentari, non riesce minimamente a contrapporre allo squallore dei duellanti che si sfidano a singolar tenzone una visione diversa, costruttivamente democratica e non elitaristica della società italiana. Si limita a ripetere il tormentone secondo il quale obiettivo del Partito Democratico è legarsi in modo sempre più stretto al Movimento (a quale settore, poi, di questo ectoplasma?) per non consegnare il Paese alla destra. Senza accorgersi che il Movimento è ormai giunto al canto del cigno. E che le idee di sinistra è la sinistra a doverle fare emergere.
David Sorani

(6 luglio 2021)