Francoforte, un museo
per porsi domande

Dopo cinque anni di ricostruzione e rinnovamento, il Museo ebraico di Francoforte ha riaperto in ottobre la sua struttura principale al pubblico. È stata un’inaugurazione agrodolce però. Nel pieno della seconda ondata, le restrizioni avevano costretto a limitare in modo rigido gli accessi.
“La cosa un po’ triste è stata che, dopo cinque anni intensi di lavoro, non abbiamo avuto quel momento catartico di festeggiare insieme il traguardo raggiunto. Per fortuna ci sono state le recensioni entusiastiche della stampa. Ma noi aspettiamo ancora di avere quel momento” racconta a Pagine Ebraiche la direttrice del museo, Mirjam Wenzel. Anche loro si sono riadattati alla vita virtuale, anche perché il museo è molto proiettato sul presente. “Noi siamo ora”, è il motto di questa sua versione rinnovata. La struttura inaugurata nel 2020 – che si affianca a quella aperta nel 2016 e che si trova poco distante – incorpora il palazzo neoclassico costruito dalla famiglia Rothschild nel 1820, più un nuovo blocco realizzato dallo studio Staab Architects. Insieme, si crea una sinergia da presente e passato che rispecchia bene la filosofia del museo: raccontare la storia ebraica di Francoforte, ma anche aprire a riflessioni sulla società attuale.
La mostra permanente si estende su diversi livelli, spiega la direttrice Wenzel, e offre approcci diversi per capire l’identità e la storia ebraica. “Nel museo Judengasse (la struttura aperta nel 2016) si apre lo sguardo sull’antico ghetto di Francoforte, raccontando cosa volesse dire una vita ebraica all’epoca, con ritrovamenti archeologici, oggetti cerimoniali, ma anche registrazioni di come la musica potesse essere allora. Il nostro obiettivo è sempre quello di dare un’impressione vivida al visitatore”. E così è anche nella struttura del palazzo Rothschild: al terzo piano l’esposizione si intitola Storia e Presenza. “In questo spazio raccontiamo la realtà ebraica a partire dall’oggi e attraverso storie personali, cercando di dare sempre un inquadramento storico a livello europeo. Anche perché si tratta di famiglie che hanno emigrato, che hanno costruito reti in tutta Europa”.
Il secondo piano è intitolato Tradizione e riti. “La domanda qui è come l’ebraismo si sia trasformato in una religione con diverse correnti, ricordando che a Francoforte c’è stato uno scontro interno e la nascita della neo-ortodossia. Parliamo di questo, ma ci interroghiamo anche sul presente, chiedendo ai rabbini di rispondere a domande su questioni di etica legate all’attualità”. Al primo piano infine si percorre un viaggio all’interno di tre famiglie di Francoforte e tre generazioni: i banchieri Rothschild, la famiglia di commercianti borghesi Frank e la famiglia dell’Europa dell’Est dell’autore e giornalista Valentin Senger.
“Entriamo dentro anche ai dettagli, raccontando ad esempio le ricette di cucina. Oppure, cosa è stato tramandato di padre in figlio, o di madre in figlia”. A questo si affiancano le mostre temporanee, come quella dedicata al “Lato femminile di Dio”.
“È una mostra – dice la direttrice – che abbiamo preso e riproposto perché innanzitutto il tema del genere è di stretta attualità”. Uno dei temi centrali sviluppati era la “Shechina” intesa come la “presenza di Dio sulla terra” e “descritta dal misticismo ebraico come una sfaccettatura creativa dell’unico Dio. Questa concezione costituisce il centro della mostra, che si concentra sulla riscoperta della tradizione largamente sconosciuta delle concezioni femminili di Dio nello specchio dell’arte contemporanea”.
Wenzel non nasconde che si aspettava più controversie attorno a questa mostra, ma la pandemia ha forse ridotto la sua portata provocatoria. Però la direttrice spiega che anche questo è uno dei caratteri del nuovo museo. “Che cosa c’è di più ebraico di mettere in discussione, di porre domande difficili?”
Daniel Reichel, dossier Musei – Pagine Ebraiche luglio 2021