Il dossier Musei su Pagine Ebraiche
“In presenza o sul digitale,
la sfida è fare rete”

È presto per valutare l’impatto della pandemia sulle istituzioni museali e più in generale sulla produzione culturale: i luoghi di cultura chiusi per mesi hanno attuato le strategie più diverse, provando a immaginare modi nuovi per raggiungere comunque il proprio pubblico. Pur se pesantemente condizionati e limitati, i musei ebraici non si sono fermati. Dalla presentazione di un nuovo museo che a Lisbona racconterà la storia degli ebrei portoghesi, progettato da Daniel Libeskind, all’apertura di Anoha, la struttura dedicata ai bambini del museo ebraico di Berlino, con una nuova mostra sull’arca di Noè, tutto mostra come siano stati mesi di progetti e nuovi stimoli. A inizio giugno durante l’ultima plenaria della International Holocaust Remembrance Museum (IHRA), il gruppo di lavoro dedicato a musei e memoriali ha dedicato tempo e riflessioni comuni proprio a quanto accaduto. Simonetta Della Seta, che con la sua direzione ha portato al successo il Meis e che della delegazione IHRA è parte da molti anni, alla luce dei ragionamenti condivisi con colleghi da tutto il mondo spiega come il periodo della pandemia abbia portato a cambiamenti importanti: “Il più rilevante è certamente il processo di digitalizzazione, che ha spinto i musei ad affrontare un upgrade tecnico importante, con risultati interessanti. Alcuni hanno potuto raggiungere molte più persone, o sono riusciti ad arrivare più lontano. L’aspetto più problematico è che non tutti i musei hanno le capacità economiche per affrontare uno sviluppo digitale adeguato; l’impegno è teso ora a esportare le buone pratiche, soprattutto dai musei grandi ai più piccoli”. Non basta avere uno o più tecnici esperti di digitalizzazione: è tutto il gruppo di lavoro che deve condividere il processo, e resta fondamentale trovare i finanziamenti necessari. “Conviene sempre dare la priorità, nella richiesta di fondi, a tutto quello che è ‘educational’ sia verso l’esterno che all’interno delle organizzazioni. E rivolgersi ai giovani. La spinta alla didattica è sicuramente un risultato, e il ponte verso un nuovo periodo nella vita dei musei. Una scelta condivisa anche da grandi istituzioni, come Uffizi e Louvre”. Non solo aspetti positivi, però: c’è grande preoccupazione per il rischio che il mondo virtuale si scosti da quello reale, qualcosa che può succedere con grande facilità. Le visite ai luoghi di cultura non possono essere sostituite neppure dalla migliore esperienza virtuale: “Il reach out non deve mai sostituire la visita in presenza, che poi bisogna sempre abbia qualcosa che non è stato incluso nella visita virtuale. Il rischio è che la realtà virtuale possa scivolare nell’immaginario, cosa diversa da un giusto processo di identificazione, frequente soprattutto nei giovani, in particolare quando visitano un memoriale. Il rischio che vengano offerti spunti di narrativa immaginaria, che si allontana dalla documentazione, preoccupa soprattutto chi lavora sulla Memoria della Shoah, che deve restare ancorata all’evidenza, ai documenti, alle testimonianze”. Ma anche i musei d’arte devono essere legati ai capolavori, che possono essere immersi nella contemporaneità, e per valorizzare i quali ben vengano i mondi virtuali, ma è necessario tenere alta la guardia rispetto a quello che si propone, proprio per restare leali alla realtà, e alla verità. “Senza rischiare di andare oltre: con l’aumento della digitalizzazione, che pure ha molti lati positivi anche se non può toccare le stesse corde di una visita in presenza, è necessario stare in guardia. Basta una leggerezza durante l’editing, una testimonianza tagliata, per dare un senso del tutto diverso a ciò che si vuole raccontare. E sono cose che poi restano, vengono riprese, diffuse, riprodotte…”. Grandi potenzialità, quindi, che devono però essere gestite con un’attenzione ancora maggiore, evitando qualsiasi scorciatoia e puntando al massimo sulla qualità. È emersa con grande prepotenza poi la necessità di collaborare, fare rete, superare qualsiasi rivalità per condividere ed esportare buone pratiche e soprattutto le esperienze didattiche, che rimangono l’obiettivo primario. Con o senza digitalizzazione.

Ada Treves, dossier Musei – Pagine Ebraiche luglio 2021