Ossessioni e identità

A dare credito alle cronache di questi giorni, l’Unione europea, per autorevole bocca della presidente della Commissione, intenderebbe assumere misure di rigore nei confronti dell’Ungheria di Viktor Orbán, in ragione della legislazione omofobica che Budapest ha introdotto. In che cosa dovessero consistere tali gesti vincolanti, non è ancora dato saperlo. Posto che per sanzionare un membro dell’Unione, occorre il voto unanime dei suoi appartenenti. Quindi, anche del paese che fosse fatto oggetto di eventuali restrizioni. Il punto, tuttavia, non è propriamente questo, visto che sul conflitto tra la maggioranza dell’Unione e alcuni sue componenti, si giocheranno diversi dinamiche politiche a venire. Al momento l’asse tra Ungheria e Polonia, alle quali si sta associando la Slovacchia, sembra essere destinato a rafforzarsi. Una tale configurazione delle cose indica che dentro l’Unione stessa sussiste un nucleo di nazioni che intendono portare avanti una politica dell’identità che si contrappone a quegli indirizzi invece oramai dominanti nel vecchio continente. Laddove, peraltro, le forze sovraniste sono comunque esse stesse fortemente orientate nel senso di contrapporsi a questi ultimi, ricostruendo – in tale modo – una piattaforma comune basata su un radicato euroscetticismo. Il tema del rapporto tra sessualità e genere, così come della sanzione penale per quelle condotte che rappresentino una patente e offensiva violazione dei diritti di espressione del pluralismo identitario costituisce, per tali paesi e simili formazioni politiche, i cui indirizzi politici si ispirano ad un marcato conservatorismo illiberale, un terreno prediletto per i propri interventi. I quali sviluppano un impianto ideologico ispirato ad un «senso comune» che afferma di volere preservare la «natura umana» dalle contaminazioni di ciò che è definito come artificiale (ossia non corrispondente alla naturalità della vita), artificioso (quindi inautentico, messo lì a bella posta per complicare le cose) e artefatto (adulterato, soggetto a sofisticazione e così via). La politica, secondo un tale indirizzo, dovrebbe semmai impegnarsi essenzialmente a garantire le condizioni attraverso le quali l’esistenza «naturale», tale poiché non contaminata da quelle che continuano ad essere considerate come «perversioni» (l’accostamento tra omosessualità e pedofilia è una costante), possa svilupparsi appieno. Il fatto che il concetto di «natura umana» sia di per sé il prodotto mutevole di un costrutto storico, ovvero assuma accezioni, confini e potenzialità, significati e declinazioni, così come – di conseguenza – incentivi pratiche differenti nel corso del tempo, conta poco o nulla agli occhi di coloro che intendono invece ribadire il fatto che esisterebbe un’essenza immutabile, chiamata per l’appunto «uomo». Una figura tanto totalizzante quanto completamente astorica, ossia spogliata di qualsiasi riferimento alla realtà in cui vive. Il fuoco di questa argomentazione non sono mai i diritti e le libertà che si associano all’idea che storicamente condividiamo di umanità ma, piuttosto, il rinvio ad un nocciolo identitario che sarebbe minacciato dal fatto stesso di doversi confrontare con la pluralità di modi di viversi e, quindi, di vivere i propri rapporti con gli altri. Il nucleo dell’argomentazione illiberale, infatti, rimanda alla necessità di “proteggere” la collettività dal rischio di vedersi destabilizzata da comportamenti, condotte e atteggiamenti non conformi, se non addirittura devianti, rispetto ad un qualche modello storicamente prevalente. Una tale visione delle cose è stata definita come politica del «panico morale»: basandosi su una falsa evidenza, quella per cui esisterebbe un unico e immodificabile criterio per concepire la propria identità – da condividere integralmente con la parte restante del gruppo di riferimento (la «nazione», la «comunità», il «popolo» ma anche la «gente») – quanto da tale perimetro dovesse fuoriuscire sarebbe da considerarsi come un rischio incombente per i membri della maggioranza. Come tale, quindi, da neutralizzare. Indicare nelle condotte altrui (ma anche nei pensieri e nella loro manifestazione), una minaccia nei confronti della propria integrità – civile, etica così come anche sociale ed economica – serve non solo a reprimere le libertà di quanti sono additati come eretici, portatori di una visione del mondo inaccettabile, sovversiva e, quindi, «innaturale», ma anche e soprattutto per riallineare le maggioranze intorno agli obblighi di un comportamento basato essenzialmente sul ricorso di un limite che nasconde soprattutto la privazione di autonomia. Anche per questo il conflitto che si è aperto tra l’Unione europea ed una parte dei suoi paesi membri, è rivelatore di qualcosa che va al di là dell’oggetto stesso della contesa in quanto tale. Poiché impone di riformulare, in un’età di cambiamento quale quella che stiamo vivendo da oramai molti anni, il senso e il significato che vogliamo attribuire a tre elementi strategici nella convivenza sociale: la coesione tra diversi; l’eguaglianza effettiva dei diritti così come degli obblighi; il rapporto tra identità civili (anch’esse in via di trasformazione) e giustizia sociale. C’è veramente molto su cui mettersi a lavorare.

Claudio Vercelli

(11 luglio 2021)