La personalità di Singer
Tutti conoscono il nome di Isaac Bashevis Singer, grande e popolare scrittore yiddish, premio Nobel nel 1978, tradotto in decine di lingue e celebre in tutto il mondo.
Molti hanno letto almeno uno dei suoi avvincenti romanzi, che sembrano anticipare la serie Netflix Shtisel per la descrizione empatica, critica e insieme umoristica del mondo chassidico ebraico e haredì più in generale.
Se le principali vicende della sua vita sono note, Singer rimane una figura sfuggente, segreta e in fondo sconosciuta: la prima parte della vita vissuta in Polonia, dove era nato nel 1904, figlio di un rabbino di orientamento chassidico, e in seguito l’emigrazione a New York nel 1935, dove continuò a scrivere in yiddish (tradusse egli stesso in inglese parecchi dei suoi romanzi, molti dei quali non dette alle stampe).
Solo studiosi e appassionati hanno una conoscenza critica della sua opera, e mancava ancora per il vasto pubblico un testo organico e più ampio, scritto in lingua italiana, che ne analizzasse le principali tematiche, soprattutto in merito ai ‘grandi romanzi americani’ e alla luce della recente pubblicazione per Adelphi di due suoi inediti, Keyla la Rossa e Il Ciarlatano. Un inciso. I due romanzi sono venuti alla luce grazie al lavoro certosino di Elisabetta Zevi, che li ha scovati negli archivi americani, fatti tradurre comparando la versione originale yiddish con quella inglese, e contattato nipoti ed eredi di Singer per autorizzarne la pubblicazione (Adelphi è stato infatti il primo editore a pubblicare i due inediti e ora un terzo è in lavorazione). “Erano romanzi che il grande scrittore teneva in ‘lista d’attesa’ e che non ha avuto il tempo di dare alle stampe” spiega Elisabetta Zevi, alla quale si deve anche la riscoperta del fratello maggiore di Isaac, Israel, che Isaac considerava il suo maestro e al quale dedicò La famiglia Moskat. Di Israel Joshua Singer Zevi ha fatto tradurre in italiano e pubblicare per i tipi di Adelphi La famiglia Karnowski che ha venduto 150.000 copie, una tiratura straordinaria per questo autore a lungo dimenticato e il cui straordinario talento fu offuscato dalla celebrità del fratello.
Nell’anniversario dei trent’anni dalla morte del premio Nobel, i due recenti romanzi consentono una lettura da una diversa angolazione critica, capace di mettere a fuoco temi e nodi narrativi, nonché l’eterna personalità duale di Singer, combattuto tra l’eros e il misticismo, il vitalismo dei sopravvissuti e il senso di colpa verso chi non si era salvato dalla Shoah, l’amore per il mondo chassidico e la ribellione verso il suo rigore puritano. Fino ad arrivare agli aspetti narcisistici della sua personalità, uniti all’incredibile capacità di entrare in empatia con il sentire femminile. E ancora: la polemica con una certa misoginia ravvisata da molte femministe dell’epoca, e, parallelamente, il profondo amore che Singer nutriva per il femminile, un’attrazione e una curiosità mai sazi uniti al suo bisogno di non ferire le donne che amava e paradossalmente di difenderle da sé stesso. E poi il suo interrogarsi sul futuro della lingua yiddish e il dolore per la fine del mondo polacco di cui era espressione; l’angoscia e lo humour – quell’irripetibile witz ebraico celebrato da infinite storielle e studiato persino da Sigmund Freud. E soprattutto il senso di perdita e di vuoto esistenziale uniti alla ricerca mai soddisfatta e inseguita di una felicità inafferrabile, da cui il titolo del bel libro di Fiona Shelly Diwan, Un inafferrabile momento di felicità – Eros e sopravvivenza in Isaac B. Singer, recentemente uscito per i tipi di Guerini e Associati, che si legge tutto d’un fiato, come un romanzo.
“Fin da ragazza, ho sempre amato Singer – spiega Fiona (giornalista, studiosa, direttrice di BetMagazine-Bollettino della Comunità ebraica di Milano e del sito web Mosaico, che ha alle spalle studi di Estetica alla Statale di Milano, e di Judaica a Roma e alla Hebrew University a Gerusalemme). Quell’incessante corpo a corpo con sé stesso e con l’Onnipotente, quel suo essere strattonato tra diverse anime in conflitto tra loro: Singer è stato uno dei ‘più moderni virtuosi dell’inibizione, della sconfitta’, come ha scritto di lui la grande studiosa francese Florence Noiville. Capace di esprimere una condizione umana ed ebraica assolutamente contemporanea. Perennemente scisso tra il bisogno di Assoluto e l’incapacità di resistere alla pulsionalità che lo abitava, sempre duale, bifocale: da un lato il vitalismo passionale dei suoi personaggi, dall’altra la loro tensione mistica, una forte dimensione etica sempre presente e coerente con la ricerca delle verità esistenziali, anche se contraddittorie, scomode o poco presentabili. I due romanzi recentemente pubblicati abbondano di queste tematiche; e mi hanno spinta a rileggere parte della sua opera affrontando la sfida di un testo critico. Perché, a mio avviso, nei suoi ‘romanzi americani’, Singer riesce a dare voce e a far emergere dalla clandestinità emotiva le paure, i tormenti e i demoni che tutti i sopravvissuti portano dentro di sé – e, in definitiva, chi di noi non è emotivamente un sopravvissuto?”.
Viviana Kasam