La missione di Moshè
La nostra parashà inizia con parole di supplica “WA etchannan el A’ – E supplicai il Signore”. (Devarìm 3;23) Moshè si rivolge in preghiera al Signore affinché venga annullato il decreto che prevede di non farlo entrare in Israele, facendolo morire nel deserto.
Molte volte abbiamo assistito a preghiere da parte di Moshè per far annullare decreti divini contro il popolo e molte volte Moshè è riuscito in questo intento: stavolta no.
Moshè non riesce con la sua preghiera a far annullare al Signore il decreto emanato contro di lui.
Questa parashà viene letta sempre lo Shabbat dopo il digiuno del 9 di Av e molte volte cade in concomitanza di un lieto evento conosciuto come Tu be Av – il 15 di Av.
Nella mishnà di Ta’anit (cap.4 mishnà 8) ci viene presentata come una festa estremamente gioiosa: “Non vi erano in Israele giorni più belli di Tu be Av e di Yom Kippur” (Ta’anit.).
In questa giornata le giovani ragazze uscivano per le vigne di Gerusalemme suonando tamburelli e, vestite con abiti bianchi – rigorosamente presi in prestito – cantavano esortando i giovani ad innamorarsi di loro e con loro costituire una famiglia.
La gioia era proprio la speranza nel futuro di aumentare le unioni matrimoniali per costituire famiglie in mezzo al popolo.
Nel midrash si racconta che, dopo il decreto divino di far restare nel deserto per quaranta anni la generazione che uscì dall’Egitto, di tanto in tanto venivano scavate fosse dove scendevano gruppi del popolo che morivano in quel posto.
La notte del 15 di Av del quarantesimo anno, il gruppo scese nella fossa ma non morì. Questo era il segno che era scaduta la decretazione divina e che finalmente la “nuova generazione” poteva vedere un futuro migliore, il futuro di vivere una vita di luce, liberi in Eretz Israel.
Le ghezrot – i decreti divini che garantiscono un futuro sono quelli che possono essere anche annullati: esattamente come quello di Tu be Av; purtroppo sono i decreti che riguardano il singolo e che non può garantire un futuro che solitamente non passano.
Moshè aveva finito la sua missione, doveva rimanere nel passato; il popolo, la nuova generazione, era quella che avrebbe garantito la nuova vita e la libertà in quel luogo tanto anelato sin dai tempi di Avrahàm avinu.
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna
(23 luglio 2021)