Controvento – Scelte linguistiche
È da poco uscito in America, per i tipi di G.P. Puntnam’s Sons, il libro della giornalista scientifica Melinda Wenner Moyer How to raise kids who aren’t assholes.
Ringrazio Chiara Sabelli di “Scienza in Rete” per la segnalazione.
Tra gli argomenti principali ci sono – e non potrebbe essere diversamente nel 2021 – il sessismo e il razzismo. Uno degli imputati principali è il linguaggio, tema caro all’illustre scienziato Andrea Moro che nel suo libro La razza e la lingua (La Nave di Teseo) lo ha analizzato sotto l’aspetto delle neuroscienze.
Spesso non ne siamo consapevoli, ma quello che noi diciamo di fronte ai figli anche quando sono piccolissimi e sembra non capiscano, plasma il loro cervello, e la loro visione del mondo. Ripetere “il dottore” e “la segretaria” – come spesso succede anche nelle più innocue conversazioni – ingenera già nella primissima infanzia l’idea che ai maschi spetti curare i malati e alle femmine battere a macchina le lettere del capo.
L’italiano purtroppo è una lingua estremamente sessista. Non abbiamo l’articolo neutro, il “the” inglese, per cui “the doctor” può essere indifferentemente uomo o donna, e anche “the secretary” o “the president”.
Non abbiamo nemmeno codificato le desinenze per la maggior parte delle professioni. Si dice ministra, ma professoressa; avvocata o avvocatessa? E medico, perché è solo maschile? Sta radicandosi l’uso, sexually correct, di scrivere le parole con desinenza maschile e femminile, invece di quello maschile inclusivo anche del femminile, quando si vuole indicare la possibilità che i soggetti siano di entrambi i sessi. Parliamo di maestri/e: un orrore per chi scrive e per chi legge.
In attesa di una “damnatio memoriae” per gli scrittori del passato, con relativo falò dei loro libri, e della proposta di abolire termini di origine patriarcale come Patria, Fratellanza, Umanità, vorrei avanzare una proposta, che spero qualcuno riprenda. Ovvero di creare un manuale di linguaggio non sessista, con poche ma chiare regole, da distribuire a tutti i mezzi di comunicazione, alle scuole, a chi scrive e pubblica libri scolastici e magari anche ai giovani autori e relativi editori. La proposta è quella di uniformare le desinenze. Ministra, avvocata, medica, possono far venire i brividi ma non si capisce perché non dovrebbero entrare nel linguaggio comune – personalmente preferisco la semplice “a” alla desinenza “essa”, che trovo pesante e cacofonica. E per i termini che finiscono con il neutro “e”, professore, presidente, direttore, si potrebbe invece pensare a un articolo neutro, omologo del “the” inglese, e qui lascio ai linguisti sbizzarrirsi per trovare la soluzione.
Se media, istituzioni, scuole adottassero questa piccola rivoluzione linguistica, ci vorrebbe pochissimo tempo per renderla di uso comune. Certo, introdurre nel linguaggio il neutro, sia per gli articoli che per i mestieri, sarebbe meglio, ma quando provo a proporlo vengo guardata come una pazza. “Non si cambiano le lingue a tavolino” mi dicono. Eppure l’ebraico, lingua bellissima e che continua a produrre capolavori letterari, è nata a tavolino. Ma c’era allora la volontà di tante persone diverse, provenienti da ogni parte del mondo, di trovare un idioma comune, e l’orgoglio di apprenderlo. Sarebbe bello se questa volontà, e questo orgoglio, guidassero anche le scelte linguistiche antisessiste.
Viviana Kasam