Mass media, politica
e strumentalizzazione

Si parla di tutto, nei numerosi talk show che si susseguono sui vari canali tv in diverse fasce orarie o sulle pagine di molti quotidiani e settimanali. Si parla di tutto, e in realtà spesso non si parla di niente. Sono tanti i temi complessi in discussione, spesso di una attualità drammatica e bruciante. Tre su tutti, in queste ultime settimane: il Ddl Zan e in particolare il rapporto tra la legge anti-omofobia e la necessità o meno di definire “l’identità di genere”; la tormentata riforma del processo penale; la violenza brutale e gratuita della polizia carceraria sui prigionieri del Carcere di Santa Maria Capua Vetere e in genere la difficile situazione delle carceri italiane. Argomenti centrali e ineludibili; rispetto ai quali, però, gli approfondimenti veri, quelli che mettono al centro i vari aspetti del tema per comprenderne le implicazioni e le dinamiche, non sono molto numerosi. Capita più spesso (e soprattutto nei talk show) che la vera molla dell’interesse e quindi del discorso non siano, ad esempio, la situazione delle persone lgbtqi in Italia e l’impatto delle tematiche a sfondo omosessuale sulla società, oppure la lunga genesi del clima di intimidazione che regna in alcuni penitenziari, la cronica lentezza del nostro sistema giudiziario; ma piuttosto l’orientamento dei principali partiti verso una o l’altra interpretazione/soluzione delle questioni, la sfida di natura politica che ne deriva e alla fin fine l’esito di questo confronto in termini di influenze e potere. Ciò avviene con danno evidente e della conoscenza dei temi affrontati (sovente frammentaria e superficiale; sempre strumentale) e della stessa politica, che sempre più si riduce a schermaglia, a capacità di prevalere sui gruppi avversi. Del contenuto e dell’azione politica, cioè, anche nell’ambito dell’informazione sopravvive solo l’aspetto agonistico teso a sconfiggere la concorrenza; mentre la politica è (o dovrebbe essere) conoscenza, analisi, attività di governo e di amministrazione, progettazione economica-sociale-culturale, ecc.
E noi fruitori, instancabili, continuiamo ad approvare/alimentare questo meccanismo mediatico in cui interagiscono piatte rassegne di argomenti e politica come duello. Ce ne lasciamo irretire (io stesso sono assiduo spettatore di almeno un paio di talk show) perché è una miscela intrigante, capace di simulare sapientemente la partecipazione diretta di chi vi assiste.
Perché, invece, le tv e i giornali (alcuni già lo fanno, veramente) non realizzano sui principali temi di stretta attualità serie analisi di approfondimento, capaci di sviluppare nel pubblico basi di autentica conoscenza e da qui posizioni politiche più articolate e meno “tifose”? Limitandomi all’ambito televisivo, di esempi passati ne vengono in mente diversi: le documentate e drammatiche ricostruzioni di Sergio Zavoli, le inchieste puntuali di Enzo Biagi, una sintetica ma implacabile striscia settimanale come TV 7. Televisione d’altri tempi, si dirà. Certo, molto più povera di possibilità tecnologiche ma molto più ricca di contenuti e introspezione critica.
In realtà, aspirare a produzioni televisive e giornalistiche volte più alla meditata formazione che alla pura informazione cronachistica e allo schieramento pseudo-politico appare oggi pretesa eccessiva: non potrebbero contare su un’audience adeguata; e quindi, non essendo economicamente convenienti, sono di fatto irrealizzabili.
David Sorani

(27 luglio 2021)