Ebrei nella valle del Reno,
le antiche testimonianze
inserite nel patrimonio Unesco
Spira, Worms e Magonza. Tre città di fondamentale importanza nelle vicende di Germania, riassunte nell’acronimo ShUM formato dalle iniziali ebraiche dei loro nomi: e cioè, rispettivamente, la Shin per Speyer, la Vav per Warmaisa e la Mem per Magenza. Siamo nella valle del Reno, il luogo d’insediamento dove si è formata l’identità ashkenazita.
Dalle sinagoghe ai cimiteri, dai tribunali rabbinici alle yeshivot: un’area ancora ricca di testimonianze di un’epoca, quella medievale, in perpetua oscillazione tra luce e buio. La luce di un’identità viva, grazie anche al contributo di figure indelebili come il grande commentatore Rashì. Ma anche il buio dell’insofferenza e della persecuzione, sfociato nei terribili massacri dell’esercito crociato. Sofferte ma anche struggenti memorie d’Europa che l’Unesco ha scelto di includere, in queste ore, tra i beni culturali “patrimonio dell’umanità”. Una decisione che va a premiare un dossier dedicato alla valorizzazione di queste antiche tracce ebraiche curato da Susanne Urban, responsabile del progetto ShUM per l’Unesco, e presentato nell’ambito della rete europea Moreshet che vede protagonista anche la Comunità ebraica di Mantova.
Da Mantova non nasconde la sua soddisfazione l’architetto italo-israeliano David Palterer, membro attivo di Moreshet. “Proprio dall’Italia, e più precisamente da Lucca, arrivava il primo rabbino di Mainz. Era – racconta – un membro della famiglia Colonimus”.
Una storia di fitte reti e relazioni transnazionali. In un’Europa che, almeno in una prospettiva ebraica, non aveva già più confini.
(Nell’immagine l’antico cimitero ebraico di Magonza)
(28 luglio 2021)