Olimpiadi e intolleranza

Aboutboul o Butbul secondo il dizionario etimologico dei cognomi ebraici di Heinrich ed Eva Guggenheimer significa in lingua araba “signore con i tamburi”. Probabilmente il judoka Tohar Butbul se non vi fosse stato il grande esodo degli ebrei nordafricani avrebbe gareggiato alle Olimpiadi 2020 di Tokyo con la bandiera marocchina, magari col nome Tahar. La storia è andata diversamente e Tohar Butbul si è ritrovato nella nazionale israeliana di judo. Questo basta per far sì che due “atleti”, un algerino e poi un sudanese si siano rifiutati di competere con lui.
Già un algerino, l’Algeria che reprime le rivolte in piazza, l’Algeria con un regime corrotto e sanguinario retto dal FLN mai mutato dalla rivoluzione in poi, l’Algeria che discrimina i cabili negando loro ogni diritto – compreso il riconoscimento della loro esistenza. O il Sudan che nella propria storia ha visto susseguirsi guerre civili, colpi di stato, dittature militari e genocidi. Per ogni paese presente alle Olimpiadi potremmo trovare tanto altro. Ma ciò non ha importanza perché, al di là di quanti siano i conflitti nel mondo, gli unici che ne devono pagare le spese sono sempre gli israeliani.
Se Fethi Nourine e Mohamed Abdalarasool desideravano davvero esprimere un messaggio di solidarietà nei confronti del popolo palestinese hanno scelto il modo peggiore per farlo. Il loro è parso soltanto come un gesto di bieca intolleranza ed emarginazione nei confronti dell’avversario, il quale prima ancora di essere un atleta di una specifica nazionale è un essere umano che non ha espresso alcuna idea politica.
In fondo non dovremmo comunque far troppo caso al fatto che i due personaggi provengano entrambi da paesi a maggioranza musulmana. Il loro gesto è stato apprezzato anche da alcuni europei e, al contrario, è stato contestato, scorrendo i vari canali locali, anche nei loro luoghi d’origine. L’intolleranza non ha confini come l’imbecillità. Oltre questi episodi, non rimane dunque da augurarsi che per Tohar Butbul possano risuonare i tamburi, così come da omen nomen.

Francesco Moises Bassano