Vaccini e solidarietà sociale

Un’opposizione ostinata, sorda e contemporaneamente cieca sta montando nel Paese contro la vaccinazione anti-Covid e ora contro l’adozione del Green pass quale strumento di controllo e di graduale ripresa della normalità. Quella dei no-vax è una marea strisciante e composita, una costellazione variegata, impossibile da caratterizzare in modo univoco. Chi sono? Cosa li anima e motiva nella loro protesta? Quali obiettivi si pongono?
In molti emerge una sorta di rigetto pregiudiziale dell’autorità, il rifiuto di adeguarsi a comportamenti collettivi indotti dall’alto, avvertiti come una sorta di imposizione indebita, come una illegittima costrizione della propria inviolabile libertà di scelta individuale. Su questa base di insofferenza diffusa (in parte comprensibile, ma certo coltivata dalla crescente influenza, a livello di opinione pubblica, esercitata dalla “sacralità” a cui sono ormai assurte la privacy e l’insindacabilità delle scelte personali), in determinati ambienti ristagna e si alimenta un vittimismo smarrito e ignorante, che conduce direttamente sulla via del complottismo, del credito concesso senza criterio alle fake news più immaginifiche e assurde. A tale livello è sin troppo facile per alcuni gruppi politici, perlopiù di destra e di estrema destra (fuori ma anche dentro l’ombrello del governo Draghi) pescare nel torbido, sfruttare le insofferenze molteplici e insinuanti per soffiare sul fuoco e indurre alla protesta, facendo crescere i consensi politici: in simili azioni di rifiuto e di disturbo si distinguono gruppi apertamente neofascisti e neonazisti come Forza Nuova, ma anche esponenti di Fratelli d’Italia e della Lega. Il fenomeno appare particolarmente grave e preoccupante quando, al di là dell’opportunismo politico, ad alimentarlo sono addirittura medici o personale sanitario, cioè individui che dovrebbero farsi portatori di corretta informazione scientifica e sanitaria e non favorire al contrario la propagazione del panico.
Assurda e nefasta oltre ogni dire appare, in un quadro così caotico e disinformato, l’evocazione di improponibili paragoni con la persecuzione razziale, con la Shoah, con la stella gialla e chi più ne ha più ne metta: si tratta in realtà di elementi rivelatori, che denudano il mare di ignoranza becera, la diffusa assenza di una basilare visione storica politica culturale, il vuoto allarmante su cui ogni anno si depositano le sentite parole del Giorno della Memoria.
Eppure, accanto a questo magma indefinibile di oppositori per tendenza e per principio, emergono anche fior di intellettuali, che non si adeguano perché si sentono sfruttati – massificati – considerati “numero”. Intellettuali di tendenze opposte, per di più.
Vittorio Sgarbi: “Chi ha la nostra età si vaccina perché ha paura del Covid, io ho visto gente morire. Ma perché deve vaccinarsi un giovane che sta bene? Perché obbligarlo? Perché obbligare tutti?” (“Il Messaggero”) . Il vaccino servirebbe dunque per chi è già malato? E sarebbe obbligatorio?
Un filo più razionale Massimo Cacciari in un editoriale su “La Stampa” in cui spiega le sue ragioni: «Viviamo da oltre un ventennio in uno stato di eccezione che, di volta in volta, con motivazioni diverse, che possono apparire anche ciascuna fondata e ragionevole, condiziona, indebolisce, limita libertà e diritti fondamentali. Così non si fa che inseguire emergenza dopo emergenza le più varie occasioni, senza coscienza della crisi, senza la precisa volontà di uscirne politicamente e culturalmente. Invece di un’informazione adeguata si procede ad allarmi e diktat, invece di chiedere consapevolezza e partecipazione si produce un’inflazione di norme confuse, contraddittorie e spesso del tutto impotenti. Che il Green pass sia una di queste è del tutto evidente». Il disagio del filosofo e politologo nei confronti dello “stato d’eccezione” è comprensibile e in parte condivisibile, anche se ci coglie il dubbio che l’illustre professore abbia vissuto gli ultimi due anni su un altro pianeta e non sia stato minimamente sfiorato dall’emergenza assoluta e tragica che per lunghi mesi ci ha colpito e di fronte alla quale è doveroso che lo Stato ponga un argine. E poi, un momento: come sarebbe a dire “viviamo da più di un ventennio in uno stato di eccezione?” Gli anni dal 2000 al 2020 non sarebbero stati dunque in Italia un periodo di difficile altalenante democrazia, bensì addirittura una sospensione dello stato di diritto proseguita senza soluzione di continuità nell’emergenza pandemica? Non è un po’ esagerato tutto questo gridare al diktat, alla dittatura, alla sospensione della Costituzione? E cosa vorrebbe dire, in concreto, “chiedere consapevolezza e partecipazione” di fronte all’esigenza prioritaria di fissare delle regole? Il rifiuto della massificazione imposta dall’alto a (presunto) danno del diritto di ciascuno, l’indirizzo cioè che nel fondo guida le posizioni di alcuni esponenti dell’intelligencija, nelle intenzioni è un atteggiamento di nobile difesa di principi liberali; di fatto si rivela un élitarismo stupido, cui sfuggono la realtà e i rischi di fondo della situazione in cui ci troviamo.
La radice comune di questo florilegio di proteste insensate sta nell’eccessivo spazio concesso oggi alla difesa del “privato”, fondamentale e indiscutibile in sé ma da arginare quando la minaccia è “pubblica”, totale per ciascuno. Lo stesso principio che vincola la vaccinazione a una scelta individuale mi pare discutibile. Alla base l’idea della libera scelta di immunizzazione è corretta, ma di fronte a un’emergenza collettiva quale è una pandemia con alto indice di mortalità c’è da chiedersi se essa abbia ancora un senso, o se non sia più giudizioso ricorrere all’obbligo vaccinale che può salvare tutti o quasi. Ai tempi della nostra infanzia e adolescenza i vaccini erano pur obbligatori.
Eppure la risposta a tutto questo mare di contestazioni e leciti dubbi è retta, netta, quasi banale nella sua semplicità: il Covid o Coronavirus c’è e colpisce ancora nelle sue numerose varianti; il vaccino è l’unica vera arma che possediamo in questa guerra e di fatto funziona, riducendo sensibilmente i nostri rischi anche di fronte alle continue mutazioni del virus; certificare l’avvenuta vaccinazione e aprire determinate possibilità ai soli vaccinati è al contempo un modo per incrementare le immunizzazioni e garantire una graduale ripresa della normalità, ed è la strada scelta razionalmente da Israele, dall’Europa, dall’America.
Chiara appare dunque anche la via da seguire. In quanto cittadini e in quanto ebrei credo debba guidarci un principio di responsabilità nei confronti della società intera, di cui siamo parte. La stessa libertà individuale non ha senso e non sussiste se non in una società solidale, che si protegge reciprocamente di fronte al pericolo. Dal punto di vista ebraico, questo salvaguardare la vita collettiva è un bene assoluto, e la sua logica è quella che potremmo chiamare Tiqqun ‘Olam. La conseguenza di queste lineari riflessioni è un sì convinto al vaccino e alle certificazioni conseguenti come strada per la ripresa. Contestare questa via è un ostinato solipsismo, un colpevole rifiuto della solidarietà sociale. E la capacità di opporsi alle proteste che stiamo vivendo in questi giorni è la prova del nove della solidarietà sociale. Purtroppo non pare che riusciamo a superarla a pieni voti.
David Sorani