Libri ebraici in Italia: un dialogo
Buon giorno, volevo informarla che in questi giorni la Biblioteca Nazionale di Roma ha messo a disposizione del pubblico il catalogo, continuamente aggiornato, del Progetto I-Tal-Ya books. Quando sarà completato, consentirà di accedere alla consultazione dell’inventario delle decine di migliaia di volumi in lingua ebraica e yiddish conservati nelle biblioteche italiane.
Cioè una delle tante operazioni di catalogazione, cosa c’è di straordinario?
Io direi molto. Si tratta di far emergere finalmente la straordinaria ricchezza del contributo che la lingua ebraica ha offerto alla civiltà del Bel Paese.
Vale a dire? Si spieghi meglio. Cosa c’entrano la civiltà e l’Italia?
Apra il sito e provi a indagare meglio. Al momento trova inventariate solo alcune collezioni che in seguito verranno via via implementate. Ma solo leggendo quel che c’è ora può trovare libri devozionali e di preghiera, commentari alla Bibbia e alla letteratura postbiblica, testi di mistica (la “kabbalàh”, le dice qualcosa questa parola? Ha presente Napoli, la Cabala, i numeri… viene molto da lì). Ma ci sono anche titoli di catechismi per fanciulli, polemiche fra scuole di pensiero diverse, libri di storia ebraica, epistolari. E poi c’è una straordinaria collezione di libri in yiddish, che è una lingua scritta con caratteri ebraici ma in realtà parlata dagli ebrei dell’Europa centrale e orientale (oltre che in America e in Israele) che ha una struttura sintattica e un dizionario sostanzialmente tedesco.
Yiddish, dice. E che ci azzecca con la “civiltà italiana”?
Be’, direi parecchio. Intanto era la lingua che parlavano abitualmente gli ebrei di origine tedesca che hanno iniziato a popolare il Nord Italia a partire dal XIV secolo. E lo parlavano anche gli ebrei che fuggivano dal nazismo e che vennero in Italia negli anni ’30. Nello specifico la collezione di oltre trecento libri che trova in catalogo è quella donata dal dott. Israel Kalk alla biblioteca della Fondazione CDEC di Milano. Una vera miniera. Molti di quei testi sono già tradotti in italiano, ma altri potrebbero esserlo (vista la “moda” letteraria che sta interessando i lettori del nostro Paese in questi anni).
In ogni caso continuo a non capire il nesso con la civiltà italiana. È tutto in ebraico (per di più con caratteri diversi!), non si capisce nulla. Come sempre siete chiusi fra di voi, non vi integrate. E volete imporvi. Non si capisce perché la Biblioteca Nazionale di Roma impegni tempo e risorse per voi…
Vuole dire per noi… italiani, vero? No perché, sa, l’inclusione della minoranza ebraica in Italia è piuttosto antica. Parliamo di millenni! E per restare solo alla produzione di testi in lingua ebraica le basterà scorrere il catalogo: secondo lei chi li stampava? Le rispondo io: quasi solo tipografi cristiani. E lo sa che l’industria della tipografia del libro ebraico a caratteri mobili è stata in gran parte (parliamo del 60-70% dei titoli pubblicati) italiana fra ‘500 e ‘600? Pensi al numero di addetti che ci hanno lavorato, e pensi alle competenze messe in campo. Per non dire del giro di affari. Oggi si direbbe un “volano” di sviluppo. I veneziani ne sanno qualcosa. Voglio dire: il tema del libro ebraico è proprio un esempio tipico che dimostra con i fatti che il modello del “noi” contrapposto al “voi” proprio non ha senso. Ci sono di certo differenze culturali e religiose, ma questo non ha nulla a che vedere con il fatto che si vive insieme in un territorio, si lavora, ci si parla, ci si confronta. Per questo ho parlato di “civiltà”. La civiltà italiana si è costruita anche sulla base del rapporto continuo e stretto fra maggioranza e minoranze (e mica solo gli ebrei, pensi a quante altre minoranze linguistiche ci sono nella storia di questo Paese: tedeschi, albanesi, greci, occitani, sloveni, francesi, catalani…).
Non la buttiamo in politica adesso. Comunque, ora mi incuriosisce. Vediamo un po’, ad esempio questo libro: “Arbaʻah ṿe-ʻeśrim” c’è scritto. Boh?!
Significa “Ventiquattro”. Ha scelto proprio bene. Si tratta di una collezione di testi biblici pubblicati nel Settecento a Venezia dal rabbino Simone Calimani. I volumi provengono dalla biblioteca della comunità ebraica di Vercelli. Guardi cosa offre il catalogo online. Vede il frontespizio? Certo, se non capisce l’ebraico incontrerà qualche difficoltà, ma guardi la decorazione. È un portale neoclassico, puro stile italiano, che sul piano estetico, artistico, era la cultura di riferimento (vede quanto erano integrati in Italia gli ebrei?). Invita il lettore a “entrare” nel libro, quasi fisicamente. Poi, se è stato a visitare la sinagoga spagnola di Venezia, in ghetto vecchio, si accorgerà che la decorazione è la fedele riproduzione del pulpito che ancora oggi può vedere lì. Ma il frontespizio ci dice anche dell’altro: in caratteri latini è indicata la stamperia Bragadina di Venezia. Poi se va a vedere altre immagini come questa può vedere che sì, il testo è in ebraico ma a lato ci sono parole in italiano.
Già, perché questo?
Be’, perché nel Settecento gli ebrei in Italia sapevano di certo leggere l’ebraico, ma non tutti lo capivano, per cui pregavano e recitavano nella lingua Santa, ma per capirci qualcosa avevano bisogno almeno di un aiutino. E tutti parlavano e leggevano l’italiano. Capisce quindi cosa intendo quando parlo di integrazione, di dialogo, di civiltà comune?
Mi sa che ci tocca rivedere un po’ di criteri interpretativi sulla storia d’Italia.
Eh sì, mi sa proprio. In ogni caso un buon punto di partenza mi sembra che – a parte questo catalogo che le consiglio di sfogliare – potrebbe essere quello di informarsi sulle manifestazioni previste per il prossimo 10 ottobre in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Ne scoprirà delle belle. Il tema di quest’anno è proprio “Dialoghi”. I libri, in tutto questo, la fanno da padrone. Buona lettura.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC
(6 agosto 2021)