Razzismo e antisemitismo
5 agosto 1938: ottantatré anni (e quattro giorni) fa, usciva il primo numero de “La difesa della razza”, rivista diretta da Telesio Interlandi e il cui segretario di redazione era Giorgio Almirante (sì, lo stesso a cui oggi si pensa di intitolare delle strade). Ma non è, ancora, delle leggi del 1938 che volevo parlare. Guardando la notissima immagine in copertina mi è venuto in mente un problema su cui ancora oggi si discute, quello del rapporto tra razzismo e antisemitismo. Sulla copertina abbiamo tre profili accostati: quello di una donna africana, con tratti somatici accentuati, in particolare le labbra; quello dell’ebreo, ritratto con un naso particolarmente adunco e con tratti molto caricaturali; ed infine l'”ariano” che più che a un romano assomiglia a una statua greca. Quale il rapporto tra i due ritratti in negativo? Chi è collocato ad un livello di maggiore inferiorità? La nera, posta in primo piano, o l’ebreo, con tratti più accentuatamente negativi? Comunque sia, la copertina non è solo antisemitq, è razzista: l’ebreo è oggetto, come la nera, di razzismo.
Certo, sappiamo che i due termini hanno delle differenze, che antisemitismo e razzismo non sono la stessa cosa. Ma sappiamo anche dei loro strettissimi nessi. E che la storia delle leggi del 1938 cominci in Etiopia, anche questo lo sappiamo.
A tanti anni di distanza, su questa questione ancora molto si discute, in particolare nel mondo ebraico, una parte del quale sembra tenerci molto a non accostare troppo antisemitismo e razzismo. Recentemente, della questione si è occupato anche a Gerusalemme, al Global Forum sull’Antisemitismo, il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid, che ha sostenuto che l’odio per gli ebrei non è diverso da tutti gli altri razzismi. Che gli antisemiti non sono stati solo “nel ghetto di Budapest, ma anche sulle navi negriere che incatenavano gli schiavi, fra gli Hutu in Ruanda che massacravano i Tutsi, fra i musulmani fanatici che hanno ucciso milioni di altri musulmani nell’ultimo secolo”. Questa volta a parlare non è un professore universitario, un giornalista di HaAretz, uno scrittore noto in tutto il mondo, ma un ministro in carica. Grazie Lapid e grazie ad Israele che permette e sollecita il dissenso, la pluralità di opinioni. Che demolisce i dogmi.
Anna Foa, storica