Periscopio – I nove nomi

Dunque, come abbiamo esposto nelle puntate precedenti di questa ricognizione del rapporto tra Dante e gli ebrei, Virgilio, nel quarto canto dell’Inferno, nel Limbo, spiega al suo discepolo che vide personalmente l’ascesa in Paradiso di una grande moltitudine di spiriti, vissuti prima dell’era cristiana.
Questo popolo è sintetizzato in nove figure, che della storia di Israele appaiono come i principali protagonisti e che Virgilio passa in rassegna in soli sei versi (Inf. IV. 55-60).
Innanzitutto, “il primo parente”, ossia Adamo. Egli fu un peccatore, ma resta il primo beneficiario della creazione (tanto che lo vedremo poi collocato nel più alto dei cieli del Paradiso, vicino al suo Creatore). Fa dunque parte a pieno titolo della storia della salvezza, e figura come iniziatore non solo dell’umanità tutta, ma, più specificamente, del popolo ebraico. Nella visione dantesca, si può dire che Adamo è non solo santo, ma anche ebreo. E lo stesso si può affermare per i due spiriti di seguito menzionati, “Abèl suo figlio” e Noè, l’unico giusto salvato, con la sua famiglia, dal diluvio, il “secondo Adamo”. Sarebbe stato il resto dell’umanità a distaccarsi da Israele, all’inizio la santa storia del “popolo eletto” era la stessa storia del genere umano.
Seguono poi coloro che, a seguito del patto abramitico, sono specificamente stati ebrei, ma che ai primi tre personaggi sono da Dante collegati senza alcuna soluzione di continuità.
Il primo (quarto dell’elenco) è “Moïse legista e ubidiente”. Con i due epiteti, Dante sintetizza mirabilmente quelle che appaiono come le due principali caratteristiche di Mosè, l’essere stato legislatore e avere sempre obbedito alla volontà di Dio. Le leggi che egli ha dato agli uomini sono stati i comandamenti voluti dal Signore, il profeta non fece altro che trasmetterne la parola.
Il quinto personaggio è “Abraàm patriarca”, il sesto “Davìd re”, il settimo Giacobbe (che Dante indica, significativamente, come Israèl, ossia col nome da lui assunto dopo la lotta sul guado di Panuel, che passò poi a indicare l’intera sua discendenza), l’ottavo Isacco, menzionato solo come genitore di Giacobbe (“lo padre”), così come vengono complessivamente ricordati, senza nominarli, i figli di quest’ultimo, capostipiti delle dodici tribù (i “suoi nati). L’ultima è Rachele, della quale il poeta, con un rapidissimo accenno, ricorda, con evidente ammirazione e rispetto, la particolare storia di amore con suo marito Giacobbe, che per lei “tanto fé”: amò tanto Rachele da lavorare per il futuro suocero, Labano, per averla in sposa, ben quattordici anni (Gen. 29. 18-30); davvero una prova d’amore ineguagliabile.
E Virgilio precisa, alla fine, che, prima di costoro, nessun altro spirito era stato salvato: solo la discesa agli Inferi del figlio di Dio permise quella trasmigrazione di anime, niente altro lo avrebbe potuto permettere (Inf. IV. 61-62). Ma attenzione: Dante fa dire al suo maestro che nessuno è mai uscito dal Limbo “prima”, non anche che nessuno sarebbe mai uscito “dopo”. Ciò non è assolutamente una dimenticanza casuale, il poeta lascia socchiusa, per così dire, la porta del Paradiso (nel quale sarebbe entrato, in virtù di un miracolo, per esempio, il pagano Traiano) al suo amato Maestro, come a tutti gli altri “spiriti magni”, che incontrerà poco dopo. Una sottile apertura di speranza che vedremo poi confermata in un celebre passo del Paradiso.
Riguardo a tale elencazione, si possono e debbono fare diverse considerazioni e domande, che conto di formulare mercoledì prossimo.

Francesco Lucrezi