Padova ebraica, il direttore del Cdec: “Il segno ebraico è ovunque”
Direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) dal 2016, lo storico Gadi Luzzatto Voghera vive a cavallo tra due città. Lavora per la maggior parte dei giorni a Milano, dove il Cdec ha sede. Ma ogni fine settimana torna in genere a Padova. “Non potrei farne a meno. Qui – commenta – si sta troppo bene”. Determinanti in questa scelta anche gli stimoli, le profonde suggestioni ebraiche del territorio. “Quella di Padova spiega lo studioso, veneziano di nascita ma con radici anche padovane è una Comunità con una storia intellettuale fortissima. La prima Yeshivah, il primo Collegio rabbinico, grandi Maestri come Shadal e Ramhal, il legame con i destini di un’Università dalla storia antica e affascinante che ha dato uno spazio agli ebrei quando altrove sarebbe stato impensabile. C’è una certa magia ebraica nell’aria, nel solco di una convivenza plurisecolare che ha prodotto frutti ineliminabili”. Anche in regime di separazione forzata questa reciproca compenetrazione non è mai venuta meno.
“Il Ghetto – sottolinea Luzzatto Voghera – era una realtà con evidenti limiti. Ma restava permeabile, anche per via della sua collocazione nei pressi della centralissima piazza delle Erbe. Una certa vivacità c’è sempre stata”. Persino al tempo dell’epidemia, un canale tra società ebraica e non ebraica resterà sempre aperto. “Questa e altre riflette il direttore del Cdec sono le prerogative di una Comunità con una vicenda del tutto peculiare. La scelta di dar vita a un museo è stata giusta, anche per il messaggio che si è voluto trasmettere: la volontà di risentirsi padroni di questa storia. Esserci riusciti è un risultato pregevole, merito del lavoro ventre a terra di molti”.
Proprio il museo, tra fine agosto e inizio settembre, sarà il perno di una iniziativa rivolta al mondo della scuola: un seminario residenziale per insegnanti organizzato dal Cdec insieme all’organizzazione americana The Olga Lengyel Institute (Toli), svoltosi in passato ad Asti e al Meis di Ferrara e da quest’anno supportato anche con un finanziamento europeo. “Il museo – riflette lo storico – ci è sembrato il posto più giusto: la storia che si fa didattica”.