Intitolare e disintitolare
Intitolare a qualcuno una via, una piazza o un parco non è come assolverlo in tribunale: non basta la presunzione d’innocenza, non basta citare attenuanti generiche, non basta invocare le peculiari circostanze storiche in cui la persona si è trovata ad agire. Altrimenti la stragrande maggioranza degli esseri umani meriterebbe non solo una via, ma magari anche una scuola, un aeroporto, la cima di una montagna. Scegliere una persona a cui intitolare qualcosa tra i milioni o miliardi a cui non è stato intitolato un bel niente significa scegliere questa persona come modello, identificarsi nelle sue idee, ammirare particolarmente le sue azioni. Chi propone di intitolare una strada a un fascista non lo propone nonostante fosse fascista ma proprio perché era fascista. Chi propone di intitolare una via a un antisemita non lo fa nonostante fosse antisemita ma proprio perché era antisemita. E per di più è convinto che il fascismo e l’antisemitismo porteranno consensi.
A maggior ragione il discorso vale per le proposte di disintitolazione (scusate il neologismo, ma proprio il fatto che il termine non esista dimostra quanto questa circostanza si verifichi raramente). Quante strade delle nostre città portano nomi di persone che per noi sono illustri sconosciuti (anzi, spesso neppure troppo illustri), eppure nessuno si mobilita per cambiarli: di solito ci teniamo i nomi delle vie finché non si sente l’esigenza di tagliarne un pezzo per intitolarlo a qualcun altro; e quasi sempre si tratta, appunto, solo di un pezzo. A Torino, per esempio, la Comunità e la sinagoga si trovavano paradossalmente proprio nella via intitolata ad un papa antisemita finché non è stata creata la piazzetta Primo Levi, ma il nostro scrittore non ha affatto scacciato il papa, che continua ad esistere imperterrito sia prima sia dopo, con la numerazione che prosegue come se l’interruzione non ci fosse; e noi ci siamo accontentati della nostra piazzetta senza pretendere di scalzare il papa dal resto della via. Dunque, se qualcuno propone di disintitolare un parco che attualmente è intitolato a due magistrati antimafia vuole proprio dire che la lotta alla mafia gli dà fastidio, e non un fastidio leggero, altrimenti si limiterebbe a tagliarne via un pezzo; ed evidentemente ritiene che prendersela con chi lotta contro la mafia porterà consensi. Per questo è piuttosto inquietante pensare che un ex ministro dell’interno difenda chi prende posizioni simili.
Queste considerazioni ci portano ad una ben triste conclusione. Ammettiamo che per alcune persone davvero le circostanze storiche e personali possano legittimare un giudizio meno severo. Ammettiamo che chi è stato antisemita prima della Shoah non si rendesse conto di quale sarebbe stato l’esito delle sue idee; ammettiamo che qualcuno di coloro che ha arrestato ebrei e li ha consegnati ai tedeschi davvero non sapesse quale sarebbe stata la loro sorte. Ma queste attenuanti non possono valere per chi vive oggi: chi esalta il fascismo e il nazismo sa cosa sono stati il fascismo e il nazismo e li esalta proprio per quello che hanno fatto. Chi è antisemita sa quali sono state le conseguenze dell’antisemitismo e ne è contento. Chi prende determinate persone a modello sa chi sono state e cos’hanno fatto e le prende a modello proprio per chi sono state e cos’hanno fatto, non per le circostanze attenuanti che un ipotetico tribunale potrebbe trovare. E se pensiamo che queste proposte sono portate avanti nella (presumibilmente corretta) convinzione che porteranno consensi c’è davvero ben poco da stare allegri.
Anna Segre