My Unorthodox Life
e il trionfo dei luoghi comuni

L’ebraismo vende alla grande, soprattutto se in ballo c’è la comunità strettamente ortodossa. La curiosità per quel mondo inchioda gli spettatori allo schermo più di un thriller e il voyeurismo ha mano libera. Dopo il documentario One of Us, la serie israeliana Shtisel e Unorthodox con Shira Haas, uno dei maggiori successi televisivi degli ultimi anni, Netflix ora torna alla carica con My Unorthodox Life, un reality show così patinato da far sfigurare Vogue e così poco realistico da strappare il sorriso.
Se Unorthodox aveva commosso raccontando, senza lesinare gli stereotipi, il travaglio di una donna in fuga dalla comunità hassidica di New York che si rifà una vita a Berlino, My Unorthodox Life imbocca con decisione tutta un’altra strada. Anche qui ci sono una
donna e una storia di liberazione, ma niente lacrime né angosce – il lieto fine è trionfale fin dalle prime inquadrature. La protagonista Julia Haart salta con disinvoltura dalla più stretta ortodossia al glamour più sfrenato, dal ménage casa e famiglia al lusso stramiliardario e dal matrimonio con Yosef alle nozze con il ricchissimo imprenditore italiano Silvio Scaglia. Come succeda e come ci si senta a rivoluzionare così la propria vita, rimane però oscuro. Il succo è che allora soffriva ma adesso è felice. Il racconto si impernia sul contrasto fra il prima e il dopo, in un diluvio di luoghi comuni che non aiutano a capire la comunità ultraortodossa ma la rendono semmai ancora più misteriosa e respingente.
Quello di prima, nelle parole di Julia, è un mondo in cui le donne “non possono cantare, ballare o correre” e sono limitate al ruolo di madri e mogli. Quello in cui oggi vive in lussi favolosi, è invece il mondo in cui ogni donna può (come lei) incontrare la libertà, provarsi e fare fortuna.

dg, Pagine Ebraiche Agosto 2021

(Nell’immagine, la linea di scarpe di Julia Haart)