Premi sportivi e non
L’Italia si è coperta di gloria nelle ultime Olimpiadi ed è riuscita anche a vincere il Campionato europeo di calcio. Sui trionfi sportivi vi è sovente un’influenza esterna, che riguarda (anche) lo stato della nazione sul versante organizzativo. Nelle dittature, i trionfi sportivi sono talvolta spinti da fattori estranei al benessere collettivo ma vicini alle pressioni del regime. Nel caso dell’Italia, un Paese democratico, i citati trionfi sono meritati, perché dovuti al talento degli atleti e all’impegno dei tecnici e degli organizzatori. In questo senso, non vi è ragione per non dire che siamo soddisfatti e orgogliosi di loro, perché sono riusciti ad esprimere il meglio di loro stessi, col loro sacrificio, facendo risuonare le note a noi carissime dell’inno nazionale e avendo la gioia di vedere che la nostra bandiera saliva in alto, sospinta idealmente da tante belle persone che hanno in qualche modo accresciuto la fiducia nel nostro Paese. Penso che tutti gli italiani sentiamo un debito di gratitudine verso costoro, corredato da una grande ammirazione. Ha fatto anche piacere che, verso la fine del Suo mandato, un galantuomo molto amato come il Presidente Sergio Mattarella abbia avuto questa soddisfazione.
Nell’ambito culturale, invece, se il parametro sono i Premi, si segna il passo. Dal duemila in poi, ad esempio, è rallentato il tasso d’ attribuzione di Premi Nobel a cittadini italiani; ad esempio, noi abbiamo vinto venti Nobel e la Francia settantuno ma, dal duemila, loro ne hanno vinti 14 e noi due: il tasso di crescita e sviluppo è in calo.
Esiste un qualche problema? E se esiste, quale sarebbe? Dovremmo dare la parola agli Atenei, ai Centri di ricerca, ai critici letterari? Personalmente, nulla azzardo, perché rischierei di sicuro sia di scadere nelle chiacchiere da bar o da treno sia di invadere un terreno altrui. Potrei limitarmi a soggiungere che negli ultimo cinquant’anni alcuni italiani erano da Nobel (pensiamo, fra altri, ad Alfonso Liquori, a Nicola Cabibbo, a Giovanni Jona – Lasinio). Poiché qualche personalità impegnata nel reclutamento ha attribuito le colpe (anche) al reclutamento, ne deriva qualche inevitabile perplessità. Potremmo rivolgerci a qualche maître à penser? Se è vero che ho una grande confusione sulle soluzioni, ne ho di meno sull’esistenza del problema.
Emanuele Calò , giurista