“Afghanistan, piattaforma del terrore. L’Occidente disinneschi questo rischio”
Dalla presa del potere a Kabul, i talebani hanno cercato di presentarsi con un volto nuovo al mondo, più moderato. Nella prima conferenza stampa hanno parlato di voler formare un governo inclusivo, di voler “rispettare i diritti delle donne sotto il sistema della sharia”, e assicurato che “il territorio dell’Afghanistan non sarà usato contro nessuno”. Parole che vanno prese con grande scetticismo, sottolinea a Pagine Ebraiche l’esperto israeliano di terrorismo Yoram Schweitzer. “Non c’è dubbio che, per quanto possano promettere, i diritti delle donne verranno limitati. In più il pericolo che l’Afghanistan diventi un parco giochi per il terrorismo internazionale rimane concreto”, afferma Schweitzer, capo del programma di ricerca sul terrorismo dell’Institute for National Security Studies, con un passato da consulente in materia di sicurezza per il governo di Gerusalemme. Per Schweitzer l’Europa e l’Occidente avrà ora il compito di mantenere alta la pressione sui talebani affinché diano seguito alle loro promesse. “I talebani hanno interesse a proporsi come controparte credibile per poter mantenere saldo il potere”, rileva l’esperto. E su questo punto la comunità internazionale dovrà far leva per evitare che l’Afghanistan torni ad essere una stato sinonimo di violenza e repressione dei diritti. Non fanno ben sperare in questo senso le notizie che arrivano dal paese, con perquisizioni casa per casa e tentativi di proteste duramente repressi.
Il paese che i talebani controllano ora è molto cambiato rispetto a due decenni fa. E anche il movimento islamista si è presentato al mondo in modo diverso rispetto al passato, promettendo aperture. Possiamo credere a queste promesse?
Non voglio indovinare cosa accadrà. Ma non c’è dubbio che le convinzioni dei talebani si basano sul rispetto delle leggi coraniche secondo la loro interpretazione dell’Islam. E per questo possiamo aspettarci sicuramente un arretramento nella condizione delle donne. Vedremo sul lungo periodo se effettivamente permetteranno alle donne di partecipare alla vita pubblica e politica, di far parte dei media, dell’accademia, come hanno detto. O se torneranno ai pessimi comportamenti del passato. Io non sono ottimista. Anche in riferimento ai profughi. I talebani si presentano ora più aperti perché vogliono bloccare l’esodo dei rifugiati. In questa fase sanno che è importante per loro evitare questa fuga di massa per potersi presentare come partner affidabili sul piano internazionale. Non credo però che in una fase successiva questo approccio rimarrà. Penso saranno molto duri nei confronti dei loro stessi cittadini. Saranno molto aggressivi contro le donne, contro l’opposizione. Forse invece miglioreranno i propri comportamenti rispetto al passato, ma io non ci credo.
Il ritiro americano è presentato come una disfatta, concorda con questa visione?
Gli Stati Uniti volevano andarsene, hanno deciso di andarsene e hanno annunciato ai talebani che se ne sarebbero andati. Non sono stati cacciati o sconfitti. Certo non era previsto il rapido collasso dello stato afgano, e soprattutto di un esercito che praticamente non ha combattuto, ma non si può parlare di sconfitta quando siamo di fronte a un ritiro annunciato. Ci sono stati errori nelle modalità, ma nella sostanza gli americani hanno raggiunto il loro obiettivo, lasciare l’Afghanistan perché non è più una loro priorità. Lo hanno detto i predecessori del presidente Biden. Lo ha detto Biden. Quindi non parliamo di una sconfitta, anche se ovviamente i talebani e i movimenti radicali islamici hanno tutto l’interesse a presentarla come tale.
Il ritorno al potere dei talebani rafforzerà anche gli altri movimenti radicali islamici?
Ci sono diverse questioni in ballo. Sul fronte interno, secondo un accordo siglato con Trump, i talebani dovrebbero collaborare per cacciare i membri di Al Qaeda dall’Afghanistan. Non lo faranno. Non hanno mai avuto intenzione di dare seguito a quell’intesa. Ci sono le prove che molti affiliati di Al Qaeda vivono nelle province afghane e ho pochi dubbi sul fatto che non verranno cacciati. Se poi i talebani permetteranno che l’Afghanistan diventi di nuovo un teatro di morte con campi di addestramento per i terroristi di Al Qaeda e i loro affiliati, un luogo da cui far partire attacchi terroristici in tutto il mondo, su questo possiamo solo aspettare e vedere. Non sono sicuro che accadrà, perché ricordiamoci che 20 anni fa questa fu la ragione per cui gli americani entrarono nel paese.
E dal punto di vista delle minacce del radicalismo alla regione? Ad esempio tra i primi a congratularsi con i talebani sono stati i terroristi di Hamas, significa che c’è un collegamento tra le due realtà?
Guardi i talebani e al-Qaida non apprezzano Hamas così come i fratelli musulmani. In questo momento cercano di avere contatti con più entità possibili, e quindi anche con i palestinesi. Ma non credo che condivideranno una lotta con Hamas. Quello che succede è all’inverso: Hamas, Hezbollah, fino all’Iran usano quanto accaduto in Afghanistan per sostenere che gli americani e gli occidentali si possono sconfiggere. Abbiamo visto che la retorica della sconfitta Usa è falsa, ma servirà comunque allo scopo degli integralisti di fomentare i propri uomini. Altre organizzazioni ora potrebbero provare a provocare gli Stati Uniti.
Anche su Israele grava questo pericolo?
Considerando che Israele, come gli Stati Uniti, è considerato uno dei nemici principali dell’Islam violento, sì. Ma non vedo una vera minaccia nell’immediato su questo fronte, anche se Hezbollah in ha già iniziato a usare questa retorica.
L’Europa si sta mobilitando per poter gestire i rifugiati afghani, deve preoccuparsi anche di una minaccia terroristica?
È già accaduto in passato che terroristi addestrati in Afghanistan abbiano colpito l’Europa per cui può capitare ancora. Gli europei e gli occidentali devono fare in modo che i talebani, che ora vogliono far parte della comunità internazionale, si comportano, per così dire, bene, seguano le regole e non trasformino l’Afghanistan in un parco giochi per il terrorismo, la violenza e l’instabilità.
Daniel Reichel