Periscopio – Il Poeta e il mondo ebraico
Abbiamo illustrato, nella nostra nota di mercoledì scorso, l’elencazione, fatta da Virgilio nel Limbo, nel quarto Canto dell’Inferno, dei nove protagonisti della storia di Israele (che, come abbiamo detto, all’inizio coincide con la storia dell’umanità). Una sintesi racchiusa, come abbiamo ricordato, in soli sei versi, di straordinaria densità storica, religiosa e poetica.
Riguardo a tale esposizione, si potrebbero fare molteplici considerazioni, ma mi limiterei a due osservazioni fondamentali, preliminari a quelle che mi sembrano due domande essenziali, alla seconda delle quali cercherò di rispondere prossimamente.
La prima è che la rassegna richiama, sia pure in forma abbreviata, il resoconto del cammino dell’aquila di Roma fatto nel sesto Canto del Paradiso. In entrambi i casi il poeta offre una sintesi di mirabile efficacia espressiva, dalla quale si evince una profonda reverenza verso il cammino di Israele e poi quello di Roma, due percorsi che, per Dante, sono strettamente collegati: la storia ebraica è servita a permettere l’avvento del Messia, la cui parola doveva poi diventare legge universale per mezzo dell’impero romano. La storia di Israele prepara la storia di Roma, entrambe (come fondamenta delle due monarchie, la celeste e la terrena) sono funzionali alla salvezza dell’umanità.
La seconda osservazione riguarda il modo apparentemente disordinato in cui Dante elenca i protagonisti della storia di Israele. Il suo ordine è: Adamo, Abele, Noè, Mosè, Abramo, Davide, Giacobbe, Isacco e Rachele, mentre è evidente che la sequenza cronologica dovrebbe essere: Adamo, Abele, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Rachele, Mosè e David. È assolutamente da escludere, ovviamente, che tale disordine sia frutto di disattenzione, errore o inaccuratezza: il percorso dell’aquila, nel sesto del Paradiso, è assolutamente lineare sul piano cronologico. Ma quella è una storia umana, segnata dal tempo storico, mentre la storia di Israele è storia divina, fuori dal tempo degli uomini. Come è scritto nella Meghillà di Ester, “non c’è un prima e un dopo”.
La prima delle due domande è la seguente: ma il poeta ammira Israele in quanto tale, o solo come annuncio e preparazione del cristianesimo? La risposta sembrerebbe ovvia, ma non lo è, in quanto Dante è, insieme, due cose, teologo e poeta.
Come teologo, ovviamente, niente, per lui, può avere senso, fuori dal piano della salvezza cristiano. “Nulla salus extra Ecclesiam”. Ciò fa forse di Dante un antisemita? Come abbiamo già detto, assolutamente no. La semplice adesione alla dottrina cristiana non può essere, di per sé, considerata, come abbiamo spiegato, una forma di antisemitismo, quando non accompagnata da parole di odio, disprezzo, delegittimazione. Parole che Dante non ha mai scritto. Nella sua grande produzione, nella Commedia e altrove, ci sono solo un paio di passi (in realtà, uno solo) – che sono da da interpretare – da cui parrebbe, forse, trasparire generica ostilità verso gli ebrei. Per il resto, solo rispetto, quando non elogio o, addirittura, esaltazione.
Ma Dante, soprattutto, è un poeta, ed è alla sua poesia che si deve la sua fama universale, come teologo non introduce grandi novità (anche se non mancano, nella sua visione, a volte, degli elementi di originalità). E come poeta mostra di ammirare profondamente Israele, così come ammira, nonostante tutto, la passione di Francesca, la fierezza di Farinata, l’amore paterno di Cavalcante, la scienza di Brunetto Latini, la fedeltà di Pier delle Vigne, il coraggio di Ulisse e tante altre cose.
La seconda domanda è la più importante di tutte. Se Dante, nel seguire l’indicazione del Concilio di Lione, divide l’ebraismo in due categorie, quello dell’annuncio (venuto prima dell’incarnazione del Verbo) e quello del rifiuto (venuto dopo), e se il primo (quello “buono”) ha avuto aperte le porte del Paradiso, qual è la destinazione riservata agli altri ebrei? Limbo, Inferno, Purgatorio, Paradiso?
Al difficile quesito cercheremo di rispondere mercoledì prossimo.
Francesco Lucrezi