Una lezione dall’Afghanistan

Le notizie che arrivano da Kabul oltre a sollecitare l’ansia di tutti devono anche spingere a valutazioni meditate tutte le nazioni libere.
Israele, per esempio, tante volte è stato censurato perché non affidava la propria sicurezza allo scudo delle Nazioni Unite e provvedeva direttamente alla propria protezione.
Gli Stati Uniti sono una “nazione” (in effetti sono una confederazione di nazioni diverse) con meccanismi politici interni particolari, e con una potenza gigantesca. In ogni campo: tecnologico, politico, economico, ma, purtroppo, con un orizzonte (troppo spesso) strettamente locale. Il Governo, nel suo complesso e nelle sue varie articolazioni (militare, economico diplomatico) troppe volte esercita un potere di portata mondiale, con una visione locale: le elezioni del mid term, o l’effetto del valore del dollaro sull’occupazione locale e così via.
La popolazione della maggior parte degli Stati Uniti non è interessata, e soprattutto non conosce i problemi mondiali, nei quali, volenti o nolenti sono coinvolti. La conseguenza è una pressione interna sull’Amministrazione del Governo che influenza in senso strettamente localistico la gestione dei problemi planetari nei quali gli Stati Uniti sono coinvolti.
Vi è poi un secondo aspetto che aggrava la situazione: certe decisioni, giuste o sbagliate che siano (il giudizio è difficile e dipende anche dal punto di vista): sono eseguite con modalità “interne americane”. Mi spiego: un funzionario del governo degli Stati Uniti sbaglia se decide ed esegue le decisioni prese nell’interesse degli Stati Uniti, a Roma, a Kabul o altrove come se fosse nel Texas. Stabilito (dal Governo Americano) cosa deve essere fatto (nell’interesse dell’America) dovrebbe attuare la decisione con modalità che tengano conto della realtà locale.
Abbiamo sotto gli occhi il caos di Kabul e la situazione è troppo calda e recente per un completo inquadramento, ma vorrei ricordare un precedente che (per motivi anagrafici) ho ancora ben presente. L’armistizio di Cassibile del 3 settembre 1943 reso noto nel famoso e tragico 8 settembre dello stesso anno. L’Italia (oramai ex) fascista, vinta dalla potenza alleata, ma soprattutto americana, si staccava dall’alleato nazista e si arrendeva. Ottimo risultato della potenza militare. Ma assoluta incapacità di prevedere la reazione tedesca. Che la Germania nazista reagisse a questo fatto che aggravava il peso della guerra sulle armate nazista era facilmente prevedibile. Più difficile poteva essere la previsione del tipo di reazione, ma non ci fu nessun tentativo in questo senso. Badoglio avrebbe voluto prolungare il segreto della firma, ma non aveva nessun progetto se non quello di mettere in salvo se stesso. Gli americani invece ruppero gli indugi con un pubblico annuncio che (apparentemente) portava gloria alle forze armate americane. Invece prolungò tragicamente per 20 mesi la guerra sul territorio italiano.
Così con l’Afghanistan: che il Governo degli Stati Uniti avesse riconosciuto l’inutilità di continuare la missione a Kabul può essere stata una decisione, corretta, comprensibile ed accettabile. Ciò che, soprattutto da parte di una grande potenza, appare inaccettabile è la modalità di esecuzione. Sorprende che in tutti gli Stati Uniti e soprattutto tra i consiglieri del Governo USA non ci sia stato nessuno che abbia potuto o saputo consigliare al Presidente una modalità di esecuzione più prudente ed accorta. Quindi non una decisione diversa, ma una modalità esecutiva diversa. Il caos generato dall’improvviso annuncio della decisione presidenziale, oltre e forse prima che agli alleati, non giova agli Stati Uniti stessi. Chi mai, in futuro, si fiderà dell’ “appoggio” degli Stati Uniti?

Roberto Jona