Le feste e l’emozione dello shofar
nel segno della tradizione
Pochi giorni ancora a Rosh haShanah, il capodanno ebraico, e Yom Kippur, il giorno del digiuno di espiazione. Non si può pensare a queste festività senza associarle al suono dello shofar, il corno di montone. Il tokea, colui che suona lo shofàr, recita due benedizioni e produce tre suoni: tekià (il richiamo), shevarìm (tre richiami brevi), e teruà (nove o più suoni brevi). Anche quest’anno al Tempio Maggiore di Roma il tokea sarà il rav Alberto Funaro. Spetterà a lui il compito di emozionare, risvegliare, chiamare all’introspezione e all’avvicinamento al Signore tutti i frequentatori. Perché il suono dello shofar non è semplicemente una mitzwa da adempiere, ma ha un significato più profondo: raggiungere il cuore e la testa di ciascuno.
Del connubio fra cuore, anima e intelletto, rav Funaro ha fatto l’ingrediente fondamentale della sua crescita personale, ma è anche ciò che cerca di trasmettere ai suoi allievi. “Ero ancora molto giovane – ricorda il rav – quando andavo al Tempio di via Balbo e, assieme ad un mio coetaneo figlio di un responsabile della sinagoga, mi esercitavo di nascosto a provare a far suonare lo shofar. Eravamo giovani, non avevamo ancora il fiato necessario e l’impostazione giusta per farlo, ma prova e riprova alla fine ci riuscimmo”. Rav Funaro semplicemente “è” la voce dello shofar di Roma, seguendo una lunga tradizione di rabbanim che lo hanno fatto prima di lui. Il suo modo di suonare così unico e particolare commuove la platea del Tempio.
Classe 1953, cultore del bel canto liturgico tipico delle Cinque Scole romane, cinquanta anni di carriera rabbinica, nata fin da piccolissimo a fianco del papà che lo portava al Tempio Spagnolo ogni Shabbat ed ai suoi maestri rav Elio Toaff, il morè Mario Sed (morè Moshè) e il morè Nello Pavoncello, rav Funaro recitò la sua prima Haftarah a sette anni. Ma non è solo questo risultato a fare di lui il morè Funaro, non è un bambino prodigio, è quello che a poco a poco diventa il Maestro che sa parlare al cuore della Comunità, dove è cresciuto fra la passione per la squadra del cuore, la Roma, il suo Capitano – il numero 10 – e le pagine di Talmud che riesce a trasmettere ai suoi allievi proprio perché le sue lezioni non sono mai troppo impostate. Il rabbino, afferma, è innanzitutto un Maestro. “Le più grandi soddisfazioni che ho ricevuto nella mia carriera le ho ricevute attraverso l’insegnamento, perché essere punto di riferimento per tante generazioni di miei studenti mi dà la percezione di aver lavorato bene. Ritengo – spiega – che un rabbino non possa essere giudicato dalle pagine di Talmud che conosce a memoria, ma dalla sua disponibilità all’ascolto”.
Il rapporto con gli allievi è quindi centrale nella vita di rav Funaro, ma non solo: la sua carriera è stata costellata da tanti momenti importanti: “Sono stato presente alla visita di tre papi – dice con una nota di orgoglio – ma ero presente anche all’incontro con il presidente americano George Bush”. Tanti i momenti anche drammatici come la fuga di Herbert Kappler nei giorni in cui ricopriva la carica di segretario dell’Ufficio Rabbinico e il rav Toaff era assente da Roma oppure l’attentato del 9 ottobre 1982, dove anche sua moglie fu colpita mentre egli si trovava ancora all’interno del Tempio per la fine della tefillà.
Momenti più o meno belli, ma anni di impegno nella sua città, Roma, che fanno di questo rav la memoria storica della Comunità nel segno della tradizione di Maestri come rav Elio Toaff, ma anche della modernità con il rav Riccardo Di Segni, quando la Comunità ha dovuto raccogliere nuove sfide, anni di insegnamento nel Collegio Rabbinico dove ha coltivato un “vivaio” di allievi, non necessariamente rabbini, ma che come lui hanno studiato con la passione e l’impegno di non far mai mancare “il minian al Tempio”. E proprio nel segno della trasmissione ci rivela che durante i moadim ci sarà una turnazione perché anche altri giovani rabbanim provino l’emozione del suono dello shofar.
Lucilla Efrati
(25 agosto 2021)