Telefoni, fedeltà e infedeltà

Chiedo scusa per le mie divagazioni estive un po’ frivole in momenti non certo allegri; riconoscendo la mia incompetenza a dire qualcosa di sensato su argomenti seri, complici anche alcune vicende famigliari dell’ultima settimana, vorrei parlare di telefoni, o meglio di gestori telefonici.
La fedeltà è considerata un valore in quasi tutte le culture e in quasi tutti gli ambienti; pochi valori, credo, sono così unanimemente lodati e sbandierati. Eppure sappiamo che in molti contesti la fedeltà non paga: gli amici, fidanzati, coniugi fedeli sono spesso dati per scontati e quindi facilmente trascurati o maltrattati, mentre gli infedeli di cui si teme l’abbandono vengono coperti di doni e attenzioni. Ma fin qui siamo nella sfera dei sentimenti, e ai sentimenti non si comanda. Capita anche nelle aziende, e certamente in politica: gli impiegati e gli elettori fedeli non richiedono grandi sforzi, e quindi possono facilmente essere trascurati.
Tra coloro che premiano più di tutti l’infedeltà ci sono probabilmente i gestori telefonici: generalmente solo cambiando si possono ottenere condizioni favorevoli e prezzi bassi. Va bene, vogliono attirare nuovi clienti, cosa c’è di male? Il problema è che mentre l’infedeltà viene premiata viceversa la fedeltà viene sistematicamente punita: le condizioni, anche quelle promesse per sempre, tendono a peggiorare dopo un po’ di tempo e i malcapitati utenti fedeli sono avvisati con un messaggino che se non sono contenti delle nuove condizioni sono liberi di cambiare gestore. Ovviamente quelle che non noteranno il messaggio o non sapranno bene come fare sono le persone più fragili, anziane o malate, proprio quelle che una società giusta dovrebbe cercare di tutelare. Forse è esagerato dire che è una cosa immorale, ma certamente è molto triste. E a differenza dei rapporti interpersonali, dell’economia o della politica in questo caso non mi sembra scontato che questa strategia sia davvero conveniente per chi la attua.
Cosa succederebbe se le religioni funzionassero come i gestori telefonici? Per esempio, due festività extra per chi si converte, mentre chi rimane fedele alla stessa religione troppo a lungo a un certo punto scopre che gli tocca fare due digiuni in più. Per fortuna almeno in questo contesto le cose non vanno così, e certamente non funziona così l’ebraismo italiano, che, anzi, chiede a chi aspira a convertirsi un livello di osservanza molto superiore a quello medio del resto della comunità: come se un gestore telefonico accettasse nuovi clienti solo a condizione che scelgano il piano tariffario più costoso. Chiudo le divagazioni estive e i paragoni strampalati – anche se credo che il mio paragone strampalato aiuti a mettere in evidenza un paradosso che esiste realmente – pensando a come sarebbe bello un mondo in cui la fedeltà fosse premiata non solo a parole (per quanto non sempre l’infedeltà sia da biasimare) e in cui i più fragili venissero davvero tutelati.

Anna Segre

(27 agosto 2021)