Il Nabucco emoziona l’Arena,
ma inciampa sull’allestimento

“Va, pensiero, sull’ali dorate…”: ma il pensiero corre troppo rapidamente da Nabucodonosor all’orrore nazista.
Il Nabucco di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera rappresentato all’Arena di Verona sotto la magistrale direzione di Daniel Oren e con un cast d’eccezione, è andato in scena con un innovativo allestimento che ha utilizzato immagini e materiali forniti dal Museo Nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara e con il Patrocinio del Ministero della Cultura.
La cornice, già splendida di suo, viene ulteriormente valorizzata da una bellissima Meghillah proiettata sullo sfondo del palco durante l’ouverture. La bellezza della sinfonia di apertura e il prestigio delle maxi immagini che l’accompagnano fornite dal Meis, mandano subito il pubblico indietro nel tempo facendolo immergere nelle atmosfere del tempo. È l’inizio di una prestigiosa collaborazione fra il Meis e l’Arena di Verona.
Ma come per un istinto irrefrenabile, la regia dell’Arena ha deciso di spostare la storia del Nabucco avanti di qualche secolo trasformando l’esilio babilonese nella persecuzione nazista. Come se oggi, nel XXI secolo, non potessimo più considerare la Storia avulsa dal nazismo. I manuali di storia tristemente ce lo insegnano: gli ebrei o sono storia antica o sono vittime sacrificali del nazismo.
C’è un’altra nota terribilmente stonata in questo allestimento: la quarta parte dell’opera, intrisa di mistica redenzione e della tipica Provvidenza romantica, era ulteriormente fuori luogo. Sappiamo che i nazisti sono sempre stati ben lontani dal redimersi o dal chiedere perdono. Alla fine dell’opera Nabucodonosor diventa invece una figura positiva che si erge a salvatore degli ebrei. Il risultato dell’improbabile allestimento dell’Arena è che gli ebrei vengono salvati dal protagonista, ma in divisa nazista!
Infine, come a dire “vorrei ma non posso”, manca ogni riferimento alla ritualità della dittatura e alle svastiche in primo luogo. Un lapsus? Una dimenticanza appositamente voluta per dire implicitamente quello che l’allestimento dice esplicitamente? Mi piacerebbe sapere cosa ha spinto la regia dell’Arena a pensare a un allestimento tanto scabroso.
Ma bastava chiudere gli occhi e ascoltare un emozionante coro che accompagnava le voci profonde dei cantanti per dimenticare questo scomodo contesto in una cornice unica al mondo. Cornice capace di organizzarsi e gestire bene anche l’emergenza Covid: il coro spostato dal palco all’estremità della gradinata ha rappresentato una sfida tecnica notevole, brillantemente superata dagli eccezionali musicisti dell’Arena.

Paola Abbina

(1 settembre 2021)