Storie di Libia – Yoram Arbib

Yoram Arbib, ebreo nato in Libia, apparteneva ad una famiglia ebraicamente molto osservante. Il padre Lillo Arbib era molto attivo nella difesa dei diritti civili e comunitari della collettività ebraica.
La madre era figlia di Eugenio Nahum, proprietario terriero che dava lavoro a molti arabi.
Yoram è molto informato sulla storia degli ebrei di Libia e ci racconta che già nel VII secolo, tra gli islamici, erano in vigore leggi antiebraiche. Ogni ebreo doveva essere sempre schiavo di un arabo e in base alla legge dhimmi poteva essere picchiato anche in mezzo alla strada senza motivo o sparire senza che nessuno potesse rivendicarne la sparizione. Erano puniti e multati con l’unica colpa di essere ebrei. In base alla legge dhimmi fino al 1911, anno dell’occupazione italiana della Libia, gli ebrei vivevano senza alcun diritto civile. L’ebreo aveva l’obbligo di pagare una multa per la sua esistenza. Questa legge fu abrogata quando l’Italia occupò la Libia. Subentrate le leggi razziste nel 1938, tutti gli ebrei che ricoprivano incarichi negli uffici e gli studenti nelle scuole furono cacciati via. Nel 1943 in Libia sopraggiunse l’Impero britannico che da un lato abolì le leggi razziste ma dall’altro permise ai capi dei ribelli arabi esiliati all’estero dal regno italiano di rientrare nel paese.
Yoram ritiene che l’Impero britannico sia diretto responsabile del pogrom del 1945 e colpevole di aver finanziato ed armato i ribelli arabi contro gli ebrei. Questo, strategicamente, con l’intenzione di dimostrare che i libici non meritavano indipendenza e che il mondo arabo era avverso al popolo ebraico. Suo padre Lillo, rappresentante della comunità ebraica, nel ’44 aveva chiesto alla classe dirigente araba di unirsi per rinforzare l’economia del paese. Gli inglesi impedirono l’accordo.
L’Impero britannico fomentò l’avvenire del pogrom del novembre del 1945, che Yoram sostiene – lo ribadisce – non voluto dagli arabi. Il padre dopo il pogrom presentò all’Inghilterra l’elenco dei morti e dei feriti e una richiesta di indennizzo per i danni fisici, morali e materiali immani provocati agli ebrei. L’Inghilterra respinse ogni responsabilità.
In Libia gli arabi erano divisi in alcune divergenze partitiche: a quei tempi c’era chi avrebbe voluto il mandato italiano, chi inglese, chi voleva unirsi all’Egitto e chi era favorevole all’indipendenza completa.
Il comitato ONU per le minoranze etniche chiese anche agli ebrei la loro opinione a proposito di una futura indipendenza. Il padre, a nome della comunità ebraica, diede il consenso per l’indipendenza ricevendo le garanzie dell’Onu sull’incolumità ed i pieni poteri della comunità ebraica.
Nel 1948, certo che l’indipendenza di Israele sarebbe diventata motivo di un nuovo pogrom, Lillo Arbib chiese al comando britannico di prepararsi a difenderli dall’imminente aggressione: gli fu risposto che non ci sarebbe stato nessun pogrom e comunque loro sarebbero stati pronti alla difesa di tutti i cittadini. Non fidandosi delle promesse britanniche, mandò emissari ad acquistare armi al confine con la Tunisia e fece addestrare i giovani ebrei e preparare la difesa con olio bollente ai quattro ingressi della “hara”. Così, quando avvenne l’inevitabile pogrom – era il 12 giugno 1948 – gli ebrei respinsero l’attacco. Morirono 90 arabi e 11 ebrei. Tutti i giornali nel mondo scrissero del coraggio della comunità ebraica.
Dopo gli eventi del pogrom del 1948, gli arabi libici chiesero un accordo di pace con la comunità, ma gli ebrei non accettarono avendo ormai perso la fiducia sia verso gli arabi che verso gli inglesi.
Da quel momento gli ebrei furono consapevoli delle loro capacità difensive, grazie anche all’esistenza dello Stato d’Israele. Il 25 giugno del 1948 la portaerei americana U.S. KEARSARGE arrivò in Libia.
L’amministrazione britannica decise che quella era l’occasione adatta per un vertice di pace tra arabi ed ebrei. Dopo ore di trattative si arrivò ad un accordo molto “sionista”: gli ebrei potevano emigrare per Israele liberamente, le navi israeliane avrebbero attraccato direttamente al porto di Tripoli.
La comunità ebraica di Libia poteva continuare ad esistere pleno iure, tutti gli ebrei di Libia avrebbero ricevuto piena cittadinanza libica e pieni diritti civili, partecipando anche alla vita politica del paese, i viaggi verso e da Israele sarebbero stati effettuati senza alcune limitazioni. Gli ebrei accettarono l’indipendenza libica mantenendo l’indipendenza economica ebraica. Gli ebrei s’impegnarono ad’insegnare i mestieri artigianali agli arabi. Suo padre si iscrisse al partito laburista. Dopo il 1948 la vita commerciale in Libia era rifiorita e si era insediato il consolato di Israele a Tripoli, a cui era stato permesso di fondare un asilo di infanzia con insegnanti provenienti da Israele.
Dopo l’ingresso nella Lega araba nel 1953 il governo libico chiuse le scuole ebraiche, il tribunale rabbinico sospese le sue funzioni. Nall’inizio del 1960 addirittura il re Idris invitò cinque scienziati ex nazisti che si erano rifugiati al Cairo per istruire le autorità libiche su pratiche di sterminio. Nel 1962 il gruppo fondato da suo padre si incontrò con il primo ministro Otman Eseid ad El Beida. Con l’Art.8 vennero riconosciuti da questi diritti e cittadinanza per la popolazione ebraica, ma mai fu autorizzata la messa in pratica. Purtroppo i giornali locali nei tempi a seguire mostrarono gli ebrei come sanguisughe dell’economia locale e quando si rivolse all’ONU per richiedere aiuto internazionale fu smentito dalla rappresentanza libica.

(Seguirà, la prossima settimana, la seconda parte del colloquio)

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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)

David Gerbi, psicoanalista junghiano

(6 settembre 2021)