Giudicare ed essere giudicati
Maratona di scrutini proprio alla vigilia di Rosh Hashanà. Dover giudicare subito prima di essere giudicati. La tentazione di fare paragoni è blasfema ma irresistibile (del resto, come dice Woody Allen, bisogna sempre porsi dei modelli); oppure, paragone un po’ meno blasfemo, potremmo dire che ci troviamo a giudicare gli altri proprio nel periodo in cui dobbiamo giudicare noi stessi riflettendo sugli errori che abbiamo commesso durante l’anno trascorso. Giudicare se stessi è indubbiamente più doloroso e più arduo, anche se fortunatamente non temiamo ricorsi e non dobbiamo preoccuparci di cosa scrivere nel verbale.
In realtà a pensarci bene non siamo solo noi insegnanti, o i giudici, a dover giudicare gli altri. Tutti lo facciamo continuamente, e di solito siamo assai poco misericordiosi, come ha giustamente rilevato rav Ariel Di Porto nel suo discorso di martedì riportando due esempi inquietanti citati da rav Jonathan Sacks della severità senza appello (e a volte anche del tutto immotivata) con cui le persone sono giudicate sui social media. Peraltro sono molti i casi in cui giudicare gli altri non è solo un nostro diritto ma anche un nostro dovere. Tra meno di un mese, per esempio, molti di noi dovranno giudicare le persone che si candidano a guidare le nostre città; ed è probabile che per scegliere un partito o una lista accettabile dovremo esercitare una certa indulgenza. Anche in questo caso non saremo chiamati a scrivere verbali, ma il nostro giudizio dovrà essere attento e responsabile perché saremo noi stessi a subirne le conseguenze.
In effetti la responsabilità non è solo di chi giudica ma anche di chi è giudicato: essere perdonati, perdonarsi, essere assolti, essere promossi, essere eletti non è mai solo la conclusione di un percorso ma anche, e soprattutto, un nuovo inizio, in cui bisogna cercare di dimostrare a se stessi e agli altri che il giudizio positivo o indulgente era almeno in parte meritato.
Anna Segre, insegnante
(10 settembre 2021)