Fede e Torah
Mi richiamo alle problematiche sollevate dal recente commento di papa Francesco alla Lettera ai Galati di Paolo per sviluppare alcune ulteriori considerazioni.
Non è mio scopo quello di entrare nel merito della dialettica venutasi a sviluppare sul tema, molto efficacemente impostata dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni in una sua lettera pubblicata sul quotidiano Repubblica recentemente, bensì quello di evidenziare in tale fattispecie le evidenti contraddizioni interne alla teologia cristiana adottata dalle Chiese cristiane, cattolica in primis.
Invero la posizione paolina sul rapporto tra Fede e Torah secondo la quale, in estrema sintesi, l’osservanza della Torah medesima non rivesta un ruolo salvifico neanche per gli ebrei, atteso che “l’essere umano non è giustificato per le opere della Legge, ma per la fede in Gesù Cristo”, costituisce una dottrina che appare in contrasto con lo stesso insegnamento di Gesù il quale afferma, nel Vangelo secondo Matteo 5,17-19: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un solo iota o un segno dalla Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque avrà trasgredito uno solo di questi precetti, anche minimi, ed avrà insegnato agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li avrà osservati ed insegnati agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.
È difficile trovare una dichiarazione di fedeltà nell’eterno valore salvifico della Torah più significativa di queste parole gesuane, e tale principio è altresì presente, in forma più concisa ma non meno efficace, nel Vangelo di Luca 16,17: “È più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della Legge”
Gesù non ha mai contestato la Torah, bensì l’ha osservata pienamente in base ad una interpretazione certo radicale ed oggetto di critiche, ma senza dubbio scevra da qualsiasi intento lassista, e ne ha viepiù predicato la sua eterna validità, anche nei minimi dettagli, ovvero sino agli “apici” ed agli “iota” (rectius “yod”) della stessa. Qualunque sia il giudizio che si intenda dare al pensiero ed all’opera di Paolo di Tarso la sua teologia, improntata sul superamento della Torah per gli ebrei, confligge in modo inconciliabile con ciò che l’ebreo Gesù ha insegnato e predicato, e questo è dimostrato dagli stessi Vangeli, come appare evidente dai passi sopra citati.
I vertici delle Chiese cristiane, a partire dal papa, sembrano inoltre ignorare nelle loro argomentazioni il passo degli Atti degli Apostoli 21,17-26, un brano fondamentale per la questione che ci occupa, e che trascrivo di seguito: “Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente. 18 Il giorno seguente, Paolo si recò con noi da Giacomo; e vi si trovarono tutti gli anziani. 19 Dopo averli salutati, Paolo si mise a raccontare dettagliatamente quello che Dio aveva fatto tra i pagani, per mezzo del suo servizio. 20 Ed essi, dopo averlo ascoltato, glorificavano Dio. Poi, dissero a Paolo: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei hanno creduto; e tutti sono zelanti per la Legge. 21 Ora sono stati informati su di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani ad abbandonare Mosè, e dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non conformarsi più ai riti. 22 E allora? Sicuramente verranno a sapere che tu sei venuto. 23 Fa’ dunque quello che ti diciamo: noi abbiamo quattro uomini che hanno fatto un voto; 24 prendili con te, purìficati con loro e paga le spese per loro affinché possano radersi il capo; così tutti conosceranno che non c’è niente di vero nelle informazioni che hanno ricevute sul tuo conto; ma che tu pure osservi la Legge. 25 Quanto ai pagani che hanno creduto, noi abbiamo scritto decretando che si astengano dalle cose sacrificate agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla fornicazione». 26 Allora Paolo, il giorno seguente, prese con sé quegli uomini e, dopo essersi purificato con loro, entrò nel tempio, annunciando di voler compiere i giorni della purificazione, fino alla presentazione dell’offerta per ciascuno di loro”
Dal predetto inciso emerge con chiarezza quanto segue:
-I Nazareni, ovvero i primi credenti in Gesù quale Messia risuscitato da Dio, tutti ebrei, continuavano ad osservare i comandamenti della Torah nella loro interezza;
-Avevano aderito alla fede nella messianicità di Gesù migliaia di ebrei “tutti zelanti della Legge”: evidentemente, ai loro occhi il loro maestro appariva anch’egli un “zelante della Legge”, altrimenti ben difficilmente costoro si sarebbero potuti unire alla comunità nazarena;
-I Gentili divenuti credenti in Gesù non erano tenuti ad osservare la Torah nella sua totalità, ma soltanto ad adempiere ad alcuni comandamenti specifici (astensione da atti idolatrici, dal sangue, dal cibarsi di animali non uccisi per dissanguamento e da determinati rapporti sessuali); ciò era stato stabilito dai vertici della comunità nazarena in seno al cosiddetto “Concilio di Gerusalemme”, descritto all’interno del capitolo 15esimo degli stessi Atti degli Apostoli .
Appare pertanto del tutta ingiustificata l’enfasi con la quale sovente viene affermato come l’insegnamento paolino abbia favorito se non determinato, attraverso il superamento della Torah, la dimensione universalistica della fede cristiana, impedendo che la stessa restasse “ghettizzata” in un orizzonte unicamente ebraico: sono stati gli stessi Nazareni a stabilire che l’osservanza integrale della Torah dovesse essere riservata ai soli ebrei, e che i Gentili convertiti dovessero limitarsi ad osservare un numero decisamente più limitato di comandamenti della Torah medesima; tale posizione assunta dalla comunità nazarena è vieppiù conforme, se non in modo identico nel contenuto certamente nelle linee essenziali, alla Tradizione ebraica così come codificata nella Torah Orale, la quale infatti insegna che il Creatore ha costituito due diverse “vie di giustizia” per gli esseri umani: una per gli ebrei, basata sull’osservanza di tutti i precetti contenuti nella della Torah; l’altra per il resto dell’umanità (le Nazioni del Mondo), fondata su un’osservanza della Torah limitata alle cosiddette “Sette Leggi Noachidi”, così chiamate dal patriarca Noè, attraverso il quale secondo la Genesi l’Onnipotente ha contratto un’alleanza con tutta l’umanità dopo la fine del diluvio.
Tali precetti, che costituiscono “macro-obbligazioni” cui fanno riferimento comandamenti più dettagliati, si sostanziano in:
-Proibizione dell’idolatria;
-Proibizione della bestemmia;
-Proibizione dell’omicidio;
-Proibizione di determinati rapporti sessuali;
-Proibizione del furto;
-Proibizione di mangiare l’arto strappato da un animale vivo;
-Obbligo di istituire un sistema legislativo e giurisdizionale .
Qualsiasi non ebreo riconosca l’origine divina di tali comandamenti e li osservi è considerato, dalla Tradizione ebraica, un “Giusto tra i Gentili”, ed avrà parte al “Mondo a venire”.
Si parla spesso, ed il recente intervento del direttore di “Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro ne è triste conferma, di una dimensione unicamente “nazionale”, quasi “sciovinista” dell’ebraismo, eppure la Torah Orale insegna che gli appartenenti ad altri popoli diversi da quello israelita non hanno bisogno di convertirsi all’ebraismo per ottenere la ricompensa divina: una prospettiva autenticamente universalistica, lontana anni luce dal principio cattolico “Extra Ecclesiam nulla salus”.
Nel sostenere che i cristiani della gentilità non fossero tenuti all’osservanza globale della Torah Paolo di Tarso non ha inventato nulla, egli non ha fatto altro che richiamare la Tradizione ebraica sulla quale si fondano le decisioni assunte dai vertici della comunità nazarena nel “Concilio di Gerusalemme”; del resto, lo stesso Gesù ha predicato ai soli israeliti, e quindi le sue parole sull’eterna validità della Torah sono state rivolte ad una platea interamente ebraica.
Ma nel momento in cui Paolo ha sostenuto che l’osservanza della Torah fosse superata per gli ebrei egli si è posto al di fuori dell’ebraismo e dello stesso insegnamento di Gesù.
Riccardo Fabio Gioviale, Catania