Interfaith Forum del G20,
l’intervento della Presidente UCEI
‘Ora di religione sia ora delle religioni’

Tra i temi più significativi a scandire il programma dell’Interfaith Forum la sfida educativo-valoriale e il contributo alla crescita generale di consapevolezza offerto dalle religioni.
Un tema affrontato dalla Presidente UCEI Noemi Di Segni nel corso di un intervento tenuto nell’ambito di un panel presieduto dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Un’occasione speciale per riflettere su sfide e potenzialità della scuola nel giorno in cui milioni di studenti hanno fatto il loro ritorno nelle aule. A loro è andato il miglior augurio di riuscita da parte di tutti i convenuti.
Illustre signor ministro Bianchi, professor Melloni, illustri relatori, ospiti e partecipanti di ogni fede e provenienza.
Contribuisco con alcune riflessioni al tema di questa sessione, anzitutto ribadendo l’apprezzamento al governo italiano e a tutti i membri del G20 per aver previsto questa dimensione religiosa, dell’essere e del fare spirituale e umano valoriale accanto all’agenda più prettamente economico-finanziaria che solitamente caratterizza questi incontri. Per un Paese come l’Italia che poggia su una Costituzione postbellica, post-fascista, faro di principi attuali e quotidiani, e per l’Europa tutta che ancora attende una Costituzione, la preservazione e la promozione di una cornice base di valori e morale che trae forza dal patrimonio valoriale che hanno le religioni è un atto di responsabilità. Grazie alla Fondazione per le scienze religiose per averlo portato avanti nell’intera organizzazione.
La sfida che abbiamo non è solo di dialogo interreligioso ma anche di dialogo tra religioni e istituzioni statali che definiscono politiche e programmi nel Paese e, quindi, l’apporto delle collettività religiose, con il loro bagaglio di cultura e tradizioni, al contesto non religioso e al di là del loro impegno nel forgiare identità religiose all’interno dei propri contesti e comunità.
L’ebraismo stesso è tutto basato su un percorso di studi e istruzione e la stessa parola Torah, alla base della nostra fede, ha come significato il verbo insegnare.
Quindi verso l’esterno con una funzione di condivisione e sostegno ai processi non religiosi, portando le nostre esperienze di integrazione, accoglienza, di nuclei comunitari come concetto di rete e di protezione del singolo, metodologie didattiche, capacità di coniugare sapere antichi in contesti in evoluzione e resilienza, adattamento ai cambiamenti anche drammatici, e aggiungerei: narrazione coerente della storia ebraica all’interno della storia del paese. Questa sfida si traduce nella cura di strumenti didattici, nella revisione dei testi di studio (ad esempio con progetto, molto importante, che abbiamo avviato con la Cei), in un programma coerente di didattica della Shoah e per arginare razzismo e antisemitismo. Eventi, da vivere assieme, nei quali condividere tradizioni altrui reciprocamente
E verso l’interno, sapendo definire percorsi educativi e di formazione dell’identità religiosa che sia solida, orgogliosa della propria origine e del proprio passato, capace di relazionarsi con contesti esterni e purtroppo a volte minacciosi. Essere forti nell’animo per affrontare la maturazione, la vita di famiglia, di comunità e del paese in cui si vive anche con altri.
L’educazione inizia al giorno uno della vita ed avviene come sappiamo in molti contesti in contemporanea – nelle famiglie, nei nidi, nelle scuole, nelle università, in contesti sociali che man a mano si allargano – e assieme alle materie didattiche si impara a vivere con altri. Ha come protagonisti sia gli alunni che gli insegnanti, il corpo amministrativo e direi anche gli spazi stessi per come sono articolati e modulati e per i simboli che riportano (mi riferisco anche alla recentissima sentenza della Cassazione sui simboli da esporre nelle scuole pubbliche). È quindi fondamentale, per gli enti e le istituzioni che hanno responsabilità politica, sostenere percorsi di conoscenza culturale e dei percorsi didattici. È una responsabilità comune e solo il raccordo tra enti religiosi e le istituzioni può favorire un miglioramento e poter affrontare una società che oggi ha bisogno, urgente, di sicurezza, contro fenomeni di odio, diretto e per il tramite delle reti sociali, sempre più preoccupante.
In questo senso faccio appello alla necessità di ripensare l’insegnamento della religione nella scuola pubblica. Non dovrebbe essere sede di un servizio religioso offerto dalla Chiesa agli studenti di fede cristiana o specificatamente cattolica – questo ha senso nella scuola religiosa o in altri contesti paralleli – e che comporta la sospensione didattica nelle ore dedicate alla religione per tutti gli altri studenti, rarissimamente ben compensata da altre attività formative.
“L’ora di religione” deve diventare l’ora delle religioni, e di creazione di uno spazio ideale che consolida conoscenza e approfondimento culturale e anche storico, abbinato ad un rafforzamento della tutela delle libertà religiose anch’esso minacciato da vari processi sociali e legislativi (anche a livello europeo). Le religioni hanno da contribuire con un’infinità di bene e su questo ci concentriamo oggi per ragionare sul nostro utile apporto, ma ricordiamoci che il male di guerre basate sulla rivendicazione di supremazia religiosa, la lettura distorta delle parole rituali e di preghiera non appartiene solo alla storia e al passato. Le guerre fondamentaliste sono un presente, sono l’oggi ad appena poche ore di volo da qui. E sono anche in atteggiamenti celati e pericolosi accanto alle nostre abitazioni. Non le possiamo sottovalutare e solo con un chiaro progetto di formazione di coscienze e conoscenze le si potrà superare. Ma sono processi lunghi e vanno quindi ben strutturati.
Va quindi ripensato il format adottato oggi e che ho vissuto con i miei tre figli nella scuola pubblica. Ne sono, credo, credibile testimone.
La sfida, lo dico con sincerità e ponderando le mie parole, è anche per le stesse comunità ebraiche, al proprio interno – scuole e movimenti giovanili. Affrontare il tema dell’insegnamento e della conoscenza di altre religioni, conoscere gli altri e i loro percorsi storici e le loro tradizioni è elemento di forza, non di minaccia e indebolimento. Se abbiamo ben formata la nostra identità religiosa e viviamo il nostro ebraismo in modo pieno, gioioso e sereno nelle famiglie e nelle comunità, nelle feste e nel ciclo delle nostre vite, possiamo anche insegnare nelle nostre scuole in modo ragionato come sono strutturate le altre religioni. Ciò non significa insegnare a praticarle o perdere la propria.
Siamo all’avvio di un nuovo anno ebraico 5782, nei giorni più importanti dell’anno di espiazione e introspezione personale, ragionando sulle cose che avremmo dovuto fare diversamente e sugli impegni da assumere per l’anno nuovo. Lo facciamo come singoli ma anche come leader e istituzioni. Questo bilancio intimo è doveroso affinché l’anno che matura sia ricco di buone azioni e non solo di propositi. Estendo a tutti gli auguri di Shana Tovà – di buon nuovo anno, oltre che di un ottimo e gioioso anno scolastico.
Noemi Di Segni, Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(13 settembre 2021)