“La Convenzione dell’Aja è stata violata,
Eitan dovrà essere riportato in Italia”

In queste ore Aya Biran, zia paterna e tutrice legale di Eitan Biran, si è rivolta al Tribunale della Famiglia di Tel Aviv per chiedere che il bambino rientri in Italia. Lo ha fatto, spiegano i quotidiani israeliani, dichiarando che il nonno materno, Shmuel Peleg, che ha portato il bambino in Israele senza la sua autorizzazione, ha violato la Convenzione dell’Aja.
Secondo l’avvocato Edwin Freedman, esperto di diritto di famiglia e in particolare di casi di sottrazione di minori, ci sono tutti gli estremi perché il tribunale israeliano accolga l’istanza della zia paterna. “Da quello che è emerso, l’allontanamento del bambino è stato fatto in violazione dei termini della Convenzione dell’Aia sulla sottrazione di minori. Quindi dovrà essere ordinato il ritorno del bambino in Italia. – spiega a Pagine Ebraiche Freedman – Una volta che il bambino è in Italia, il tribunale lì determinerà chi deve essere il tutore e qual è il migliore interesse del minore. Questo spetta ai tribunali italiani”.
Rispetto alla procedura l’avvocato, coinvolto attivamente nella ratifica da parte d’Israele della Convenzione, spiega che “in tutti i paesi firmatari un bambino trasferito illegalmente in un altro paese può tornare nel paese d’origine su ordine dei tribunali del paese in cui è stato rapito. Si tratta di una procedura civile. Il governo non è coinvolto. È la parte affidataria che porta l’azione in tribunale. In Israele è il Tribunale della Famiglia, a cui si chiede che venga ordinato il ritorno immediato del bambino in Italia”.
Due gli interrogativi che a questo punto si dovrà porre il giudice. “Il minore era stato affidato alla zia? Se questo è il caso, risiedeva abitualmente in Italia al momento dell’allontanamento? Se la risposta è affermativa per entrambe queste due domande, allora al bambino sarà ordinato di tornare in Italia”.
Rispetto agli strumenti in mano invece alla famiglia paterna, l’avvocato evidenzia che difficilmente potrà ottenere che il piccolo, unico sopravvissuto alla strage del Mottarone, rimanga con loro. “I nonni paterni devono provare che il bambino affronterà un grave rischio di danno fisico o psicologico rientrando in Italia. E questo è molto difficile da provare. In questo caso, inoltre, non sembra esistano i presupposti”.
Altro elemento importante saranno le tempistiche dell’iter legale per il rimpatrio. “Secondo i nostri regolamenti in Israele, la decisione del Tribunale della Famiglia, che è di prima istanza, deve essere presa entro sei settimane dalla data di presentazione della petizione. I tribunali in Israele sono abbastanza bravi a seguire questi regolamenti. Quindi più o meno in sei settimane, non oltre, il giudice prenderà la sua decisione. C’è il diritto di presentare appello. Deve essere fatto entro sette giorni dalla decisione. E poi la Corte ha in appello altri 30 giorni per prendere una decisione. Quindi è un periodo di tempo molto breve per completare tutto l’iter”.
La vicenda è diventata un caso internazionale, sia perché in gioco c’è il destino di un minore già segnato da una tragedia terribile, sia per come il piccolo è stato portato via dall’Italia in Israele. Freedman chiarisce però che le autorità governative non hanno voce in capitolo sulla questione. La notizia circolata in Israele di un parere legale commissionato dal ministero degli Esteri e della Giustizia non gli suona verosimile. “Il ministero degli Esteri non deposita un parere legale sui casi di rapimento a meno che non lo chieda specificamente la Corte. E questo – afferma – non può essere il caso”.

Daniel Reichel