Oltremare – Sinestesia

Delle molte cose di cui non smetto di stupirmi in Israele, una è sicuramente quella che definirei l’estrema sinestesia del Kippur, che si esprime in tre modi distinti e indipendenti.
La sua prima espressione è quella della narrativa del Yom Kippur prima della ricorrenza. Lo si chiami tutto meno che “festa”, per cortesia, visto che ogni anno preghiamo per uscirne vivi, letteralmente, fino alla chiusura delle porte celesti verso l’ora di Neilà. In Israele, da 48 anni a questa parte non è possibile separare il Kippur religioso (ma anche molto laico, come vedremo dopo), vissuto vestendo di bianco in sinagoga, o in giardini e terrazze oggigiorno, in tempi di pandemia, da quello specifico del 1973, quando tutto il paese si è trovato all’improvviso in guerra, e il numero altissimo dei caduti da quel giorno fino alla fine di quella guerra serve a tutt’oggi per misurare i peggiori disastri. Non esiste un Kippur prima del quale non vengano rese pubbliche nuove testimonianze, nuovi documenti, vecchie e nuove teorie sulla prevedibilità del conflitto, tutto accompagnato dalla riproposizione di una intera colonna sonora datata 1973/74 per giorni e giorni da ben prima di Rosh HaShana.
Quando poi bene o male si arriva al giorno di Kippur, e il cessare di tutta questa informazione supplementare è quasi una liberazione, a questa prima sinestesia di sentimenti e storie se ne sovrappongono altre due legate ai costumi. Prima di tutto, già dalla sera Israele è invasa da bambini in bicicletta, o su qualunque mezzo a due o più ruote. Mentre gli adulti, o almeno una parte di essi, eleva il “Kol Nidre” in piena concentrazione, subito fuori dalle sinagoghe le strade sono già diventate piste ciclistiche a decine di corsie, nella totale assenza di alcuna regola del traffico, anche visto che i bambini di solito non hanno ancora la patente. Suoni, grida di bambini e canti dalle sinagoghe si mescolano in una sinfonia surreale, che riempie la totale assenza dei normali rumori della città.
E quando infine volge al termine la giornata stessa del Kippur, e contrariamente a quello del 1973 si è riusciti a pregare senza che scoppiasse una guerra a metà pomeriggio, tutti si raccolgono brevemente per ascoltare lo shofar e poi via, ciascuno al proprio livello di osservanza o non osservanza dei precetti. In quell’ora di Neilà, alla chiusura dei cieli sopra a noi, ebrei dentro la sinagoga pregano con trasporto, ebrei fuori dalla sinagoga chiacchierano origliando in attesa dello shofar, bambini continuano a scalmanarsi liberamente, e all’apparenza non sono scesi dalle biciclette ancora dalla sera prima, e si fermano senza darlo troppo a vedere anche adulti in tenuta sportiva che hanno passato la giornata facendo sport, appunto, ma che con l’avvicinarsi dell’ora dello shofar arrivano anche loro a posizionarsi abbastanza vicino ad una sinagoga per sentirlo. Questi ultimi sono gli unici che non fanno rumore, ma la loro presenza timida si sente tanto quanto tutte le voci intorno.

Daniela Fubini

(20 settembre 2021)