Storie di Libia – Gino Mantin

Gino Mantin, ebreo di Libia. Il suo bisnonno aveva costruito un tempio nella Hara e anche un cimitero poi donato alla comunità. Ricorda che la madre era solita governare il giovedì affinché i fedeli trovassero pulito e in ordine il sabato. La sua famiglia era molto tradizionalista. Nel 1966 erano stati costretti a lasciare la Hara a causa della morte del padre. Lui purtroppo lavorava il sabato ed il fratello era nella polizia libica finché nel 1952 fu estromesso perchè ebreo e venne chiamato dagli americani perchè conosceva quattro lingue scritte e parlate. I rapporti con i locali erano molto buoni, lui era solito frequentare le partite allo stadio e conosceva tanti ufficiali e personalità politiche, Addirittura era stato difeso da un ufficiale quando fu accusato ingiustamente di portare donne agli americani. Del pogrom ricorda che si era dovuto nascondere e un amico arabo, ufficiale di polizia, gli aveva portato cibo e sigarette. La folla urlava che avrebbero ucciso tutti gli ebrei e inneggiava esultando alle false notizie sull’avanzata verso Tel Aviv. Due famiglie erano state catturate: fingendo di trasportarle verso un campo furono interamente massacrate e bruciate. Gino si occupò di sotterrarli in una fossa comune nel cimitero. Sua madre e sua sorella erano partite quasi subito mentre lui rimase fino al 28 giugno. Della Libia ricorda la vita che scorreva facile e bella e come improvvisamente tutto fosse cambiato repentinamente. Per lui era stato veramente traumatico essere costretto a partire. Gli amici lo avevano consigliato di andare via per non rischiare e aspettare che le cose cambiassero prima di tornare. Più volte fece ritorno in Libia ma tutto era ormai cambiato. Attualmente la famiglia vive in Israele e solo lui è rimasto a Roma, dove si sente a casa. Ma è in Israele che vede il suo futuro. Crede che sia importante mantenere le tradizioni, la liturgia così come la cucina ebraica libica, perché è dentro al cuore di ognuno degli ebrei di Libia. Gino racconta che gli stessi arabi ritengono che prima degli ebrei debbano essere risarciti loro visto che il governo li ha depredati ugualmente. Gino sostiene che solo con la cittadinanza è possibile richiedere qualcosa al governo libico, in qualità di cittadini libici. Racconta anche di aver vissuto i pogrom precedenti la cui responsabilità era britannica. Secondo il suo parere l’Inghilterra aveva istigato gli arabi a cacciare gli ebrei che arricchivano Israele, mentre il pogrom del ’67 fu di responsabilità egiziana. Lui ritiene che le due sinagoghe e i cimiteri ancora presenti debbano essere preservati perchè simbolo della presenza millenaria degli ebrei in Libia. Le tradizioni sono state tramandate in famiglia e, a casa, ancora parlano l’arabo. Nella sinagoga da lui fondata si mantiene il rito libico. Ritiene che se non fossero scappati nel ’67 nel tempo sarebbero stati uccisi tutti e i suoi amici arabi non avrebbero fatto nulla per impedirlo. L’antisemitismo è radicato negli arabi da sempre. Gino parla dell’ebreo di Libia come religioso e molto osservante. L’aiuto per il prossimo e l’accoglienza le sue caratteristiche tipiche.
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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)

David Gerbi, psicoanalista junghiano