Il presente assente
«Se il tempo prima di te è vuoto, non saprai mai chi cita chi e chi copia chi. Non sospetterai d’esserti perso qualcosa. Vivrai in un eterno presente nel quale ogni valutazione avviene sottovuoto». La citazione è quella di Guia Soncini, giornalista che si occupa del costume dei tempi correnti. Mi sembra appropriata per definire quel senso di vuoto, riempito poi da tante sciocchezze, tanto più esibite e ripetute quando minore è la loro consistenza residua, che si accompagna allo spirito del presente. Si tratta di una sfida permanente per noi che della memoria, invece, abbiamo fatto un volano fondamentale per continuare a costruire una società basata su rapporti civili e sul rispetto reciproco. Ben sapendo che si parla del passato non per maniacale attenzione ma in quanto rivolti, con una qualche apprensione, verso il futuro comune. Nessuna ramanzina al riguardo, solo un riscontro della fatica con la quale ci dobbiamo confrontare ogni giorno. Una fatica che è come quella di Sisifo, il personaggio della mitologia greca condannato da Zeus al tempo perenne di un presente privo di sbocchi, poiché obbligato a spingere faticosamente un masso dalla base alla cima di un monte, per poi vederlo rotolare inesorabilmente a valle. Sisifo, individuo scaltro e privo di scrupoli, maestro di inganni, non riuscì a prendersi gioco dell’Olimpo, pagandone quindi un pegno terribile, in quanto senza senso e privo di una conclusione. L’Olimpo è la legge morale che dovrebbe ispirarci: non un guazzabuglio di personaggi capricciosi ed egocentrici ma il nitore di alcune norme fondamentali, interiorizzate e scolpite in cuori che per questo non saranno mai di pietra. Oggi, la condizione di Sisifo non è tanto quella vissuta da chi deve ricucire perennemente la tela dei legami di cittadinanza, scoprendosi spesso inascoltato se non apertamente boicottato, ma di coloro che – credendosi d’essere altrimenti – invece rivelano la loro granitica, immarcescibile, potente incoscienza. Condizione che è da sempre caratterizzata dall’unione di banalità, presunzione e sicumera. L’arroganza dell’incosciente non sta in ciò che dice ma in quanto non va dicendo per il semplice motivo che non ha lo spessore intellettivo e morale per pensarlo. In una società complessa, stratificata, a volte incomprensibile, a tratti abrasiva ed irritante, spesso di difficile lettura, l’inconsapevole ritiene invece di avere, sempre e comunque, delle formule semplificatorie per ricondurre la varietà dell’esistenza ad un unico denominatore. Così facendo, non si incarica di comunicare altro che non sia l’albagia del proprio ego, facendo coincidere la pluralità delle relazioni umane all’immagine se stesso, coltivata ostentatamente. Ciò che continuiamo a chiamare con il nome di «ignoranza», non a caso, è sempre meno il non sapere e sempre di più il non volere sapere. Può darsi che per certuni, posti in situazione limite, possa anche essere una legittima strategia di sopravvivenza dinanzi a forze soverchianti. Ma per molti altri, a partire dai noi stessi, cittadini del nostro tempo, è una vera e propria infrazione di codici civili essenziali, senza i quali non si costruisce il tempo a venire e nulla si trasmette a chi ci succederà. Non a caso, infatti, la questione del tempo è strategica nelle nostre esistenze, in quanto articolate proprio su di esso, quindi sulle esperienze cha andiamo facendo, sulle cognizioni, gli affetti, i saperi che raccogliamo, che coltiviamo, che facciamo transitare da chi ci precede a chi ci segue. Un tempo presente senza prospettiva schiaccia l’uomo su se stesso, ne disarticola la coscienza di sé, prima ancora di quella che si rivolge all’esistenza degli altri. Si tratta di quel sottovuoto di cui si diceva in esordio di queste righe. Afferma al riguardo il poeta: «madido di sudore si curva l’uomo che costruisce la casa dove non lui dovrà abitare. […] Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai. Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio. Non credono ai fatti, credono solo a se stessi. Se occorre, tanto peggio per i fatti. La pazienza che han con se stessi è sconfinata. Gli argomenti li odono con gli orecchi della spia». Ecco, l’eterno presente dell’inconsapevole e dell’incosciente è quello di una casa da costruire – il futuro comune – che non si abiterà mai anche se si finge impietosamente con se stessi che le cose potrebbero andare altrimenti. Il futuro, d’altro canto, sa essere privo di qualsiasi pietà verso ciò che è banale, superficiale, tronfio e dissennato.
Claudio Vercelli
(26 settembre 2021)