Il progetto con l’Otto per Mille UCEI
“Patologia e cura, il ruolo dei familiari”
Non sempre i familiari di bambini e giovani affetti da gravi patologie risultano debitamente assistiti. Carenze strutturali, ma spesso anche a livello di formazione.
Punta a trovare uno spazio di aiuto il progetto “La famiglia che cura”, sostenuto da una quota della raccolta Otto per Mille UCEI destinata al supporto delle attività dell’associazione fiorentina Ulisse Onlus attiva da 25 anni nel campo della solidarietà sociale.
Nel quadro di questa collaborazione incentrata in passato sul tema della “diversità”, al via stamane un corso online che punta a dare pieno sostegno a caregiver familiari, ma anche ad operatori del settore medico-assistenziale, educatori e insegnanti. Il primo di una serie di incontri che affronteranno tematiche concrete non sempre approfondite a sufficienza: dall’accettazione della malattia all’individuazione di un punto di equilibrio tra cura, lavoro e socialità; dalla play therapy agli stimoli suscitati dalla lettura.
Apprezzamento per la collaborazione con l’UCEI è stato espresso da Caterina Adami Lami, presidente di Ulisse Onlus, che si è anche soffermata sull’immagine simbolo del progetto (presentata da una madre e tratta da un’antica tecnica giapponese di “riparazione”).
Questo il messaggio associato: “Ogni ferita, ogni difetto, può essere riparato in modo da acquisire unicità e bellezza. Persone ‘imperfette’ ferite, se ‘riparate’ con intelligenza, creatività e amore, possono acquisire una perfezione che è sia unica che bellissima”.
Oltre una quarantina i partecipanti all’evento odierno, che ha anche visto i saluti della Consigliera UCEI Sara Cividalli (che in seguito sarà anche relatrice). Nelle sue parole un riferimento alla festa di Sukkot in corso, con l’auspicio che questa lieta concomitanza possa costituire la premessa per un percorso buono e fruttuoso. “In quegli anni – la sua testimonianza – siamo vissuti mangiando la manna inviata dal cielo dal Signore Iddio, ci siamo dissetati bevendo l’acqua del pozzo delle profetessa Miriam, sorella di Mosè, una sorta di ruota con tredici sorgenti d’acqua che seguiva il muoversi del popolo guidato da una nube di fumo di origine divina. Come riparo abbiamo avuto delle capanne, delle costruzioni provvisorie, precarie e un po’ instabili, le nuvole secondo dei testi ne erano il tetto inconsistente. La cura del Signore Iddio ci ha condotto attraverso il deserto ed ogni anno lo ricordiamo costruendoci capanne dalla cui copertura si devono poter vedere le stelle e in cui, se proprio non viviamo, almeno mangiamo. Giovani e meno giovani famiglie, più o meno abbienti, tutte ricordano quel periodo di precarietà e al contempo del ricevere cura. Festa che è definita zman simchatenu, tempo della nostra gioia, e in questo parlare di gioia si parla delle piccole gioie di tutti i giorni, le piccole gioie quotidiane”.
(Elaborazione grafica di Noemi Coen)