Venezia e quel Ghetto
“cortile del mondo”

In vista dell’anniversario dei 500 anni dall’istituzione del Ghetto Beit Venezia – Casa della Cultura Ebraica promuoveva con l’Università Ca’ Foscari un progetto denominato “Reimmaginare il Ghetto per il ventunesimo secolo” rivolto a vari autori, anche di fama internazionale, con l’obiettivo di rivisitare “letterariamente” il quartiere e la sua storia. A ciascuno il compito – racconta lo studioso e docente universitario Shaul Bassi, presidente di Beit Venezia – di realizzare un testo “che sarebbe andato a comporre una nuova biblioteca contemporanea del Ghetto, che illuminasse la sua specificità locale e la sua portata globale”.
Circa trenta (donne e uomini) gli intellettuali coinvolti in questo processo di indagine e ripensamento, “tra autori ebrei legati alle varie esperienze diasporiche di ghettizzazione storica” e autori “di altre culture, religioni, retroterra etnici con un’esperienza collettiva legata a diversi ghetti reali o metaforici”. I frutti di quell’indagine protrattasi per ben cinque anni (2013-2018) sono ora raccolti in un libro di cui Bassi è il curatore – Il cortile del mondo. Nuove storie dal Ghetto di Venezia (ed. Giuntina), protagonista della giornata conclusiva della Festa del Libro Ebraico (assieme a Bassi interverranno la scrittrice Igiaba Scego e la curatrice del Meis Sharon Reichel).
Correva l’anno 1516 quando la Repubblica lagunare decretò questa sorte per gli ebrei veneziani: “Siano tenuti et debino andar immediate ad habitar unidi in la corte de case che sono in geto apresso san Hieronymo”. La nascita ufficiale del Ghetto, ricorda il curatore, come zona e istituzione con regole stringenti. “Un modello di sorveglianza sociale, religiosa ed etnica così efficace – scrive – da venir esportato, nome compreso, dal papa nei territori della Chiesa pochi decenni più tardi”. Sarebbero seguiti secoli di infame costrizione e separazione dal resto della società cristiana, caratterizzati però anche da una straordinaria prova di resilienza sul piano culturale, concettuale, spirituale. Un fenomeno comunque complesso, che rifugge da narrazioni univoche e non ha smesso di interrogarci. Per spiegare cosa intende il curatore fa questo esempio: “Quando Napoleone portò finalmente l’emancipazione agli ebrei veneziani ci furono giubilo, sollievo e ne seguì un’altra esplosione di creatività, ma non mancarono coloro che si preoccuparono di quanto la fine della separazione avrebbe nuociuto alla coesione e all’identità della comunità. Quella comunità che, avendo sviluppato anche una propria parlata, non a caso chiamava il Ghetto familiarmente hasèr, pronuncia veneziana dell’ebraico chatzèr, cortile, ‘soprattutto luogo d’incontro, di pettegolezzi, ove tutti si conoscono e dove ognuno sa tutto di tutti’”. Da qui il titolo di questa raccolta, basato sul “paradosso solo apparente di un luogo molto piccolo e intimo e insieme attraversato nei secoli da persone di tutto il mondo”. Quattro aree tematiche (Passaggi, Incontri, Riflessioni e Dibattiti) e una serie innumerevoli di spunti che spaziano dal tema dell’identità al Ghetto più “letterario” di sempre: quello del Mercante di Venezia di Shakespeare. Il tema di un interessante intervento dello scrittore Howard Jacobson, riferito alla rappresentazione teatrale e alla rivisitazione del processo a Shylock avvenuti, proprio nel 2016, in quel contesto così suggestivo. “È estremamente ironico – fa notare con arguzia Jacobson – che Shylock sia diventato l’anima tutelare di Venezia, la persona che Dickens avrebbe desiderato incontrare quando visitò la città, e che Shakespeare, il quale quasi certamente non aveva mai visto Venezia, riesca ancora a rievocare un’Italia immaginaria che gli italiani riconoscono”. Ma soprattutto ha un valore il fatto che l’umanità, dopo tutto quello che è accaduto in questi 500 anni, sia riuscita “non solo a sopravvivere e a vedere questo spettacolo in un luogo simile, ma anche a desiderare di vederlo”. Una serata indimenticabile, ricca di fascino ma anche di stimoli che non hanno smesso di riverberarsi.

a.s twitter @asmulevichmoked

(Nel libro curato da Bassi firmano un contributo anche Marjorie Agosín, David Albahari, Molly Antopol, Murray Baumgarten, Sara Civai, Lucio De Capitani, Anita Desai, Edmund de Waal, Laura Forti, Stanley Gazemba, Howard Jacobson, Motti Lerner, Daniel Mendelsohn, Andrea Most, Caryl Phillips, Doron Rabinovici, Igiaba Scego, Ronnie Scharfman, Clive Sinclair, Agata Tuszynska e Arnold Zable)