Festa del Libro ebraico “La scrittura, rifugio felice”
Una riflessione su quali siano i nostri perimetri identitari, su cosa chiamiamo casa e cosa famiglia ha fatto da conclusione alla XII edizione della Festa del Libro ebraico di Ferrara. A dialogare su questi temi, due delle firme più importanti della letteratura italiana e israeliana, Alessandro Piperno ed Eshkol Nevo. Ospiti della rassegna del Museo Nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (Meis), rispondendo alle domande della direttrice del Circolo dei Lettori di Torino Elena Loewenthal, i due autori hanno svelato al pubblico alcuni elementi del loro essere scrittori e del proprio rapporto con la casa, tema di quest’anno della Festa. “Se parliamo di casa, posso dire di essere molto contento di essere qui – ha sottolineato in apertura Nevo – L’Italia è diventata appunto la mia seconda casa e ne sentivo la mancanza. Il fatto di essere tornato, dopo così tanti mesi di distanza obbligata, potrebbe essere il segno che siamo tornati a vivere”. Tornati a una normalità che si respirava nel corso della rassegna ferrarese, con incontri in presenza e un grande seguito di pubblico. “Dopo un anno e mezzo assolutamente terribile, questa Festa del Libro ebraico, in coincidenza con Sukkot, è stata realmente una vesta, un momento di gioia e ripartenza”, le parole del presidente del Meis Dario Disegni. Un periodo difficile in cui però sia Piperno sia Nevo spiegano di aver avuto la fortuna di potersi rifugiare nella scrittura. “Non so se sono felice quando scrivo, ma sono sicuramente perso quando non lo faccio. Io ho affrontato tre lockdown, immerso nella scrittura e ho finito un romanzo. Nel mentre, come un effetto domino, i miei amici, quelli raccontati nella Simmetria dei desideri, soffrivano, perdevano il lavoro, divorziavano”. La scrittura, ha aggiunto ancora l’autore di Tre piani (libro da cui Nanni Moretti ha tratto l’omonimo film, uscito ora nelle sale), è per lui un rifugio, un luogo dove interpretare il caos della vita moderna. Per Piperno invece è proprio il luogo della felicità. “Una felicità antitetica a quella che di solito cercano i miei personaggi, che vogliono emancipazione, successo, sesso. Non che io non li ricerchi, ma per me da molti anni la felicità è lavorare. È stata una lenta e dolorosa conclusione: riuscire a scrivere con la libertà e la spregiudicatezza conquistata a 50 anni”, la riflessione dell’autore, il cui ultimo romanzo, Di chi è la colpa, sta ricevendo un ottimo riscontro di critica e pubblico. “La scrittura – ha aggiunto Piperno – è il solo luogo in cui non sono un noioso e banale borghese, assolutamente rispettoso delle regole, che rispetta la diversità, il padre e la madre”. Del rapporto con la propria famiglia i due autori hanno parlato in apertura dell’incontro con uno sguardo molto diverso. Per Nevo, la nascita dei figli ha cambiato la sua prospettiva di casa e legami famigliari. “Quando ho scritto Nostalgia avevo trent’anni, avevo cambiato dozzine di abitazioni e non ero sicuro di poter trovare un luogo da chiamare casa. Quando ho scritto Tre piani avevo invece i miei figli e mi sono reso conto che dove sono loro, lì è la mia casa. La mia famiglia”. Molto diversa la prospettiva di Piperno. “Nevo ha capito dove è la famiglia quando avuto dei figli, non avendone, io ho scoperto dove fosse la mia più precocemente, ovvero dove erano i miei genitori. Ed è un luogo da cui non riesco totalmente ad emanciparmi. Per me – ha spiegato Piperno – la famiglia non è un luogo di ritorno, ma da cui fuggire, da cui personaggi non riescono ad emanciparsi, più un peso che una conquista. E ho sempre più la sensazione che la condizione di figlio non abbia a che fare con la tua età ma sia una specie di destino, pensate a Kafka. Io quando sento parlare di famiglie di casa, penso a qualcosa di soverchiante”. Temi dunque complessi, in certa misura sofferti, ma di cui i due autori hanno parlato con grande naturalezza ed ironia, concludendo tra gli applausi l’ultimo incontro della Festa del Libro ebraico del Meis.