Musica ebraica, musica per l’incontro

Fare musica è un dialogo, per definizione. Un dialogo fra chi esegue e chi sta a sentire, prima di tutto; e un dialogo fra musicisti, quando si suona in un insieme. Più in generale la musica è basata su un elemento che del dialogo è alla base: l’ascolto. Non solo la musica si apprezza ascoltandola: ma la si crea, ascoltando – non solo ciò che esce dal proprio strumento, ma prima di tutto ciò che sta intorno, ciò che altri musicisti stanno suonando insieme a te, e anche quando si suona da soli, avvertendo il declinare del tempo, ascoltando il dialogo fra strumento e ambiente. Non a caso suonare in un ensemble è un fantastico metodo per insegnare ad ascoltare e ascoltarsi, per insegnare l’attenzione per l’altro, per il dialogo a volte complicato fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori di noi. Non a caso la musica è spesso usata come veicolo di incontro fra mondi lontani, superamento della distanza e a volte delle barriere fra culture. Fare musica è un mettersi in gioco, ascoltando ed esprimendosi: un dialogo senza linguaggio verbale. E la parola è di una potenza straordinaria ma a volte può costituire un impedimento, un ostacolo. L’emozione che scaturisce dalla musica, dal comunicare on la musica, è invece libera da preconcetti, convenzioni, steccati.
Di questa fluidità della musica, l’esperienza ebraica è stata spesso testimone. Le mille e più espressioni diverse della musica ebraica sono spesso espressioni di incontro musicale: di dialogo fra comunità e società, fra fuori e dentro dalle mura del ghetto, fuori e dentro dallo spazio dedicato della sinagoga. Non è un caso che in tanti momenti della storia della musica ebraica si siano introiettati elementi che venivano da fuori, dando loro un senso nuovo. Basti pensare a “Chad Gadya” che è probabilmente una filastrocca nata in contesto non ebraico e che fu inserita nella nostra celebrazione più familiare e musicale, il seder, aggiungendo alla fine della storia cumulativa Kadosh Barukh Hu, il motore ultimo di ogni cosa, la strofa che dà un significato diverso a tutta la canzone. O a quella grande fase della storia della poesia ebraica, a partire dal decimo secolo, quando paytanim che parlavano l’arabo cominciarono a scrivere poesie cantate in ebraico ma con i metri quantitativi della grande tradizione araba, importando così nel canto sacro anche melodie ritmiche, qualcosa che fino ad allora probabilmente era rimasto fuori dal mondo sinagogale. O a quella celebre storia chassidica il cui protagonista è il Baal Shem Tov stesso, che ascoltando un pastore suonare una melodia sul suo flauto in un bosco, gli chiede di suonarla ancora ricompensandolo con un copeco; ascolta con gli occhi chiusi e muovendosi al suono dello strumento, e quando il pastore ha finito, il Besht trae un nuovo copeco fuori dalla tasca e paga di nuovo per un’altra esecuzione. La cosa si ripete alcune volte, finché il pastore, incassato un ultimo copeco, prova a risuonare la melodia ma scopre di non riuscire più a ricordarla. Alle domande dei suoi seguaci, il Besht spiegherà che aveva riconosciuto in quelle note uno dei canti dei Leviti nel Tempio di Gerusalemme, canti esiliati da secoli insieme con gli ebrei. E con quei pochi copechi aveva pagato il riscatto e riportato il canto ad Israele. La storia, come ogni racconto chassidico che si rispetti, ha tanti significati e tante possibili letture, ma è anche il racconto della pratica comune sin da tempi antichi di portare nel canto della sinagoga anche melodie del mondo esterno, permettendo alla purezza della musica di assumere con il testo della tefillà anche un senso, una sacralità nuova.
È questa una pratica di cui troviamo grande testimonianza nel variegato e affascinante mondo del canto sinagogale italiano, gemma spesso non apprezzata a sufficienza. In ogni comunità – e sono tante – che abbia portato fino ai giorni nostri un repertorio musicale proprio, siamo di fronte a un repositorio di suoni dove, nelle diverse epoche, si sono stratificate tracce evidenti e riconoscibili, e che oggi possono essere rivelate da un ascolto attento. Ma le tracce che si possono ascoltare sono in particolare tracce dell’incontro, dell’interazione: la storia della musica degli ebrei d’Italia è prima di tutto una storia di mescolanze, dove la mescolanza, l’interazione fondamentale è quella con il mondo circostante, con la musica italiana del tempo – che fosse una danza rinascimentale o un’aria barocca o lo stile belcantistico di cui si riempirono le nostre scuole all’epoca dell’Emancipazione. Gli stessi compositori dell’Ottocento, chiamati a rinnovare il patrimonio musicale liturgico, non vollero dimenticare del tutto la grande storia passata di questa musica composita: è facile rendersene conto, ascoltando canti che in una chiave moderna mantengono evidentissimi echi di musica del settecento, del seicento e cinquecento – epoche in cui la musica rispecchia le alterne fortune delle comunità ebraiche, ora blandite e ricercate ora scacciate dai regnanti delle corti italiane; e forse anche precedente, se vero che è di strettissima attualità per gli etnomusicologi lo studio delle relazioni fra nascita del canto gregoriano e la quasi contemporanea opera di scrittura masoretica dei “te’amim” – le note per la cantillazione del testo biblico.
Insomma, se ascoltiamo i canti che ogni Sabato e in ogni festa ebraica riecheggiano oggi – o riecheggiavano fino a qualche decennio fa – nelle sinagoghe italiane; se ascoltiamo questa musica che, miracolosamente, è ancora in molti casi viva e cantata, e non come per tante altre tradizioni antiche, appannaggio solo degli studiosi; è come se ascoltassimo un concentrato della storia degli ebrei d’Italia, e degli italiani. La storia bimillenaria di rapporto e scambio fra ebraismo e mondo circostante in Italia.
Anche in questo particolarissimo nostro caso, dunque, la musica si rivela essere di per se stessa dialogo, conversazione. E avremo molta musica e molti dialoghi da raccontare in questa prossima Giornata Europea.
Enrico Fink, musicista e presidente della Comunità ebraica di Firenze
Testo tratto dal sito della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Sul sito sono presenti programmi, contenuti, approfondimenti, video, gallery fotografiche e percorsi multimediali per scoprire le tante località che aderiscono al circuito. Clicca qui per accedere.
(30 settembre 2021)