Io e tu (e la filosofia del dialogo)

Per questo breve pezzo sul dialogo ho pensato che non si potesse prescindere dall’almeno accennare al complesso pensiero di Martin Buber. Filosofo ebreo del secolo scorso, nacque a Vienna nel 1878 e si trasferì poi a Gerusalemme dove morì nel 1965. La sua familiarità con il tedesco e con l’ebraico, la sua conoscenza delle parole lo portò nel 1925 ad avviare, insieme a Franz Rosenzweig, la traduzione della Bibbia in tedesco, proseguendo poi da solo dopo la morte di quest’ultimo.
È del 1923 la pubblicazione di ‘Io e tu’, opera fondamentale tra i suoi scritti. In quest’opera teorizza il principio dialogico come filosofia relazionale: il rapporto dialettico io-tu e la filosofia del dialogo.
Buber nel suo pensiero sostiene che l’uomo non è sostanza, bensì è una trama di rapporti e di relazioni, e sottolinea la propensione duplice verso il mondo: la relazione Io-Tu e la relazione Io-Esso. Né l’Io né il Tu vivono separatamente: essi esistono nel contesto Io-Tu.
Anche se di primo acchito si potrebbe essere portati a pensare che la parola Io-Tu alluda ai rapporti tra uomo e uomo, e la parola Io-Esso alluda invece alle relazioni con le cose, di fatto non è così semplice. L’Esso infatti può comprendere anche lui (o lei) in un rapporto di superficialità con l’altro.
Il rapporto dell’Io-Tu trova sostanza nel dialogo (dialogo considerato come una esperienza interiore significativa, una relazione autentica tra due esseri umani) escludendo la superficialità. Un dialogo nel quale il Tu viene riconosciuto come essere singolare. Mentre il rapporto strumentale Io-Esso si realizza nel monologo, trasforma l’essere umano in oggetto, rendendolo pari a una cosa.
Secondo Buber l’uomo non può vivere senza dialogo. Solo chi incontra un Tu può pienamente essere considerato un essere umano. La realtà umana è relazione, ma chi si addentra nell’universo del dialogo deve avere la consapevolezza del rischio che si assume esponendosi al rifiuto o al rigetto totale.
Inoltre la realtà umana è relazione e il dialogo trova la sua compiuta manifestazione nel rapporto che si instaura fra l’Io e Dio.
Nelle poche righe a disposizione spero di non aver affrontato in maniera troppo superficiale il pensiero complesso e profondo che merita questo filosofo e di aver almeno sollecitato interesse per un approfondimento.
Il dialogo è un insieme di parole. Dal punto di vista ebraico la preghiera è uno dei modi per parlare con Dio. Dio fece il mondo attraverso la parola: è attraverso la parola che il mondo venne creato. “Abracadabra”, la parola alla quale vengono attribuiti poteri magici, sembrerebbe derivare dall’aramaico “Avara ke-davara”, “Io creo mentre parlo”. La parola per dire “parola” in ebraico significa anche ‘cosa’. Essa è dunque già reale. Dalla stessa radice derivano anche Midbar (deserto) e Dever (peste). Le “asseret ha-Dibberoth,” sono le dieci parole, cioè il decalogo, in italiano generalmente reso come i dieci comandamenti.
Nell’ebraismo le parole non sono solo lo strumento della creazione, sono le parole che compongono le frasi del discorso ed anche delle preghiere e delle benedizioni. Mettere le parole nel verso giusto, saperle usare con l’altro e con Dio in modo rispettoso e corretto potrebbero costituire un primo timido passo verso il tikkun ‘olam, il concetto con cui si definisce non sola la “riparazione’ dei danni al mondo, ma anche il suo miglioramento. Con la speranza che il dialogo che instauriamo con il prossimo sia almeno propedeutico al Tikkun ‘Olam.

Sira Fatucci, responsabile Giornata Europea della Cultura Ebraica

Testo tratto dal sito della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Sul sito sono presenti programmi, contenuti, approfondimenti, video, gallery fotografiche e percorsi multimediali per scoprire le tante località che aderiscono al circuito. Clicca qui per accedere.

(1 ottobre 2021)