L’attualità di una cultura antica
Trascorsi i Mo’adim del mese di Tishrì, è bello riassaporare i momenti intensi che li hanno caratterizzati e cogliere la dimensione perenne, l’attualità delle riflessioni suggerite dal ciclo Rosh Ha Shanah-Kippur-Sukkot: pensieri e valori che vengono da un mondo antico, ma che ancora ci interrogano e ci guidano. Il mettersi continuamente in gioco e in discussione, il bilancio, le domande e il giudizio introspettivo su se stessi ma anche sul mondo; il ritorno a una prospettiva interiore più giusta e rispettosa degli altri e della natura delle cose; il riconoscerci piccoli e impotenti di fronte all’Essere superiore e allo sviluppo della realtà: questo, fra gli altri, il grande insegnamento degli Yamim Noraim, punto cruciale di un’esperienza interiore che si rinnova ogni anno e mai perde la sua portata umana, insieme religiosa morale e psicologica. Tanto più forte ed efficace oggi, in una società che smarrisce progressivamente punti di riferimento adagiandosi in un relativismo etico indistinto e fine a se stesso, in cui i concetti chiave e le scelte dirimenti appaiono liquefatti e come appiattiti in un generale trionfo dell’io individuale. Il sano limite al culto egoistico della propria personalità, suggerito e indotto dal processo di teshuvah che culmina con Kippur, trova una risposta coerente e concreta pochi giorni dopo nella fragilità della Sukkah, capace di indurre una riflessione costruttiva (costruttiva anche nel senso materiale del termine) non solo sulla precarietà della condizione umana rispetto alla potenza devastante degli eventi (e cosa è oggi, in tempi di pandemia, più evidente di questo status?) ma anche sulla bellezza della semplicità e di una vita all’insegna di una ritrovata genuinità. E la gioia di Simchat Torah è la gioia collettiva di aver ritrovato questo messaggio di ritorno e di autenticità umana nel rapporto con Dio attraverso l’incontro con la Torah, fonte inesauribile di studio e guida per il comportamento.
Queste domande, queste situazioni e questi problemi di fondo, queste risposte rigeneranti – vissuti dall’ebraismo in modo così intenso durante un mese speciale – non sono peculiari della dimensione ebraica. Sono universali, sono elementi caratterizzanti della condizione umana. Ecco perché il tessuto portante del ciclo delle festività ebraiche autunnali ha un valore a mio giudizio inesauribile: perché ci parla dell’uomo e delle sue esigenze oggi, anzi sempre. E dunque ci inquieta e ci interroga. Perché la festa non è solo occasione di svago o di riposo, ma anche di scavo, di confronto, di maturazione.
È una concezione differente rispetto a quella cristiana, che appare più legata alla dimensione eccezionale del miracolo o della personalità santa/sovrumana/divina. E’ una concezione articolata sulle questioni prettamente umane, considerate nel rapporto col prossimo e nel rapporto col divino; una concezione che implica una visione complessiva del mondo, e che è dunque anche filosofia.
Una visione straordinariamente attuale, in un mondo e in una società assetati di domande.
David Sorani
(5 ottobre 2021)