Il treno dei desideri

Quello che vediamo non è un normale set di percussioni.
La membrana della grancassa, normalmente ricavata da pelle animale (oggi da materiale sintetico), era fatta da un Sefer Torà; dopo la Guerra, ignari musicisti sostituirono la membrana animale con la pergamena di un Rotolo prelevato da una sinagoga abbandonata e ne fecero strumento musicale.
I Sefarim venivano prevalentemente accatastati dalla Wehrmacht e dati fuoco ma non di rado accadeva che l’ufficiale tedesco, attratto dalla bellezza della custodia di un Rotolo, se ne appropriasse; idem per violini, viole, pianoforti e strumenti musicali di vario genere.
Accadeva nella Polonia occupata dal Reich, nella Germania nazionalsocialista come pure nell’Austria annessa e nei territori sovietici caduti in mano tedesca durante la Aktion Barbarossa; sinagoghe bruciate o distrutte, tabernacoli dissacrati e saccheggiati.
Il Ghetto di Varsavia fu il segno urbanistico più emblematico della macchina distruttrice del Reich nei riguardi di quella che, dopo New York, era la seconda città al mondo con maggior popolazione ebraica; alle spalle della Umschlagplatz del Ghetto gli ebrei, dopo ore di attesa sotto il sole senza cibo o acqua, accedevano alla rampa ferroviaria del treno che li conduceva a Treblinka o Trawniki.
Nel 1942, durante il tragitto tra la Umschlagplatz e il treno, un membro della polizia dello Judenrat riconobbe il pianista e compositore ebreo polacco Władysław Szpilman e lo scaraventò con forza fuori dalla fila intimandogli di allontanarsi e in tal modo salvandogli la vita; la scena (foto 2) fu realisticamente interpretata da Adrien Brody nel film The Pianist (2002) di Roman Polanski.
Nel 1941 a Praga l’amministrazione del Protettorato tedesco chiuse, tra i numerosi siti ebraici, la meravigliosa sinagoga Smíchovská ma non osò danneggiarla, limitandosi a serrarne l’ingresso e depositare all’interno i beni confiscati agli ebrei della città; dopo la Guerra la guarnigione sovietica vandalizzò letteralmente la sinagoga usandola come garage, il regime comunista insediatosi in Cecoslovacchia affidò sia lo stabile che gli spazi retrostanti alla fabbrica automobilistica Tatra che la trasformò in magazzino danneggiando i solai e impiantando ascensori che compromisero irreparabilmente l’architettura dell’ex sinagoga.
La tragedia non finì con la Guerra; migliaia di ebrei si imbarcarono per quello che nel 1948 diventò finalmente lo Stato di Israele ma altre migliaia di ebrei tornarono al loro paese per trovare le proprie abitazioni occupate da inquilini ai quali l’autorità locale aveva assegnato gli appartamenti vacanti.
Gli ebrei sopravvissuti erano guardati con sospetto dai nuovi proprietari i quali stizziti domandavano loro “Chi siete? Cosa volete?”; questi ultimi si ritenevano legittimi titolari di quelle abitazioni.
Dal violino al Sefer sino alle case, strappare beni e valori agli ebrei durante la Guerra sembrava normale, legittimo; la legislazione nel Reich e nei Paesi occupati o controllati lo consentiva, il delirio antisemita sapientemente alimentato tra diverse fasce della popolazione locale faceva il resto.
Restituire terra, case e beni ai loro legittimi proprietari ebrei, quello sì era un problema e la storia dello Stato ebraico sta a dimostrarlo; se si conoscessero gli innumerevoli episodi di antisemitismo post-bellico in Europa centro-orientale, si comprenderebbe meglio l’antisionismo contemporaneo e chiunque sarebbe capace di osservare i più che evidenti segni di continuità storica.
Nell’agosto 1944 il musicista polacco Jankiel Herszkowicz fu trasferito dal Ghetto di Łódź a Birkenau, ivi scrisse il canto Shtubn Elster; liberato nel maggio 1945 tornò a Łódź ma dopo i moti antisionisti successivi alla schiacciante vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni (1967), sconvolto per le massicce immigrazioni di ebrei polacchi e intenzionato a non lasciare la Polonia, si suicidò.
Dopo la Guerra dei Sei Giorni il compositore ebreo francese di origine polacca Szymon Laks, sopravvissuto a Birkenau, smise di comporre; per Laks quella Guerra, pur vinta da Israele, dimostrava che il popolo ebraico era ancora sotto minaccia, tanti desideravano ancora la sua scomparsa, che senso avrebbe avuto per un musicista ebreo continuare a comporre?
Lo sconforto e il dolore di Laks sono pienamente comprensibili ma noi siamo qui a dimostrare esattamente il contrario; sebbene siamo tra i popoli più longevi della Terra il futuro parla ebraico, l’ebraismo è la grande turbina accesa che lavora per un mondo infinitamente migliore ma riposa di Shabbath perchè ogni opera procede da Lui.
L’ebraismo non costruisce cattedrali nello spazio ma nel tempo; eppure queste cattedrali del tempo sono di inimmaginabile solidità, le nostre Scritture e i nostri Maestri le hanno rese persino più inattaccabili e imperforabili delle cattedrali di pietra.
Anni fa Rav Shalom Bahbout avanzò l’idea che Gerusalemme, anziché New York, dovesse essere la sede dell’ONU; idea avveniristica ma condivisibile e – se lo vogliamo – persino realizzabile.
In attesa che la scienza dimostri che la Terra palesemente non gira intorno al sole ma intorno a Gerusalemme, abbiamo mille occasioni per dimostrare quanto l’ebraismo sia attualmente nel momento più magico della sua perenne primavera.
La Giornata Europea della Cultura Ebraica che si terrà a Barletta presso Palazzo della Marra dalla sera del 9 alla sera del 10 ottobre non sarà soltanto una vetrina culturale con illustri ospiti (Sandra Petrignani, Furio Biagini, Sergio Fontana, Luigi Pannarale, Ottavio Di Grazia, Mons. Leonardo D’Ascenzo, Abdallah Cozzolino); unica Giornata in Puglia a godere del Patrocinio della Regione, essa è organizzata dall’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, fondazione che nei prossimi anni – insieme a Comune, Provincia, Regione, Stato – sarà il motore della Cittadella della Musica Concentrazionaria, progetto mondiale che per definizione appartiene a tutti e non accetterà mai individualismi perché la musica scritta in Ghetti, Campi e Gulag è Patrimonio del genere umano.
Dopo un inevitabile ritardo dovuto a impreviste difficoltà e pandemia, il progetto Cittadella sta finalmente partendo e a breve saremo in grado di iniziare i lavori ma dobbiamo fare qualcosa di più; come cantava Adriano Celentano per i desideri, la Cittadella sarà il terminale di un treno che viaggia all’incontrario e non si dirige verso i Campi ma proviene da essi, carico di musica.
Da Treblinka ad Auschwitz passando per Varsavia, da Magadan a Pechora passando per Uchta, da Gurs a Berlino passando per Mauthausen, immaginari convogli pieni di partiture approderanno a Barletta dove questi tesori saranno catalogati, studiati, ascoltati, eseguiti; in una parola vissuti.
Nel 1942, chiuse in un vagone del treno che conduceva ebrei da Lublin-Majdanek a Treblinka per la gasazione, due sorelle presero per la cintola il loro fratellino di nove anni e lo scaraventarono fuori dal treno attraverso la piccola finestra dell’aria (solo lui poteva passarci); amare significa talora allontanare da noi stessi coloro che amiamo per salvargli la vita.
Quel ragazzino si chiamava Hershel Taichman (foto 3), sopravvisse; anni fa rilasciò la sua testimonianza per il progetto di Steven Spielberg (il materiale è conservato presso la USC Shoah Foundation, Los Angeles), durante l’intervista cantò Lublin, Lublin che un Anonimo creò a Majdanek.
Quel canto sarà eseguito in un grande concerto che il 27 gennaio 2022 si terrà presso l’UNESCO a Parigi; basta soltanto quel canto a dare il più grande significato storico alla Cittadella di Barletta.
Dobbiamo mettere in gioco un concetto molto più rivoluzionario della Memoria e in ciò l’ebraismo precorse i tempi; fu ai piedi del Sinai che il popolo ebraico combinò i concetti di Zachòr e Shamòr, alcuni Maestri affermano persino che i due imperativi furono pronunciati da Hashem contemporaneamente a significarne l’unicità nella polarità dei due termini.
Dalle mitzvòt alla Storia che ci ha visti protagonisti, bisogna ricordare (Zachòr) ma occorre altresì custodire i nostri valori come uno shammàsh custodisce un beth ha-knesset (Shamòr); non c’è fortezza che non sia attaccata dal nemico, non c’è giardino che non sia deturpato da vandali.
L’ebraismo non ha scelta; deve esistere, se necessario difendersi nonché essere promosso a ogni livello non già e non solo per il bene del popolo ebraico ma per tutti gli abitanti del pianeta.
Non c’è letteralmente alcuna speranza di futuro dell’Umanità senza ebraismo.

Francesco Lotoro