Da Roma a Torino, note ritrovate
A partire da giugno 1940 lo Stalag IIB Hammerstein (oggi Czarne, Polonia) ospitò prigionieri di guerra polacchi, belgi, francesi, serbi, statunitensi, Internati Militari Italiani e sovietici; questi ultimi erano alloggiati presso il Lager-Ost, il binario della ferrovia li separava dalla restante area del sito.
Da novembre 1941 a marzo 1942 una epidemia di febbre tifoidea si abbatté sul Lager-Ost mietendo 45.000 vittime tra i sovietici; il 29 gennaio 1945 lo Stalag fu liquidato, nell’aprile del medesimo anno i 500 prigionieri di guerra rimasti presso lo Stalag IIB furono liberati dalle truppe sovietiche.
All’indomani dell’armistizio il violinista e violista Lorenzo Lugli, primo violino dell’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, fu fatto prigioniero; trasferito presso lo Stalag IIB, nel maggio 1944 scrisse l’Inno dei prigionieri italiani di Hammerstein.
Nel 2002 recuperai l’Inno grazie a Domenico Morra, commilitone di Lugli; dopo la Guerra, Lugli riprese la carriera e nel novembre 1945 costituì il quartetto d’archi Città di Torino, fu docente di violino e viola presso i Conservatori di Torino, Alessandria e presso l’Istituto musicale di Cuneo.
Nel medesimo anno cercavo il Cantico delle Creature scritto da Pietro Maggioli (foto) presso lo Stalag XA Sandbostel; le mie fonti citavano Maggioli come organista della Chiesa Madre di Pesaro.
In realtà Pietro Maggioli era nato a Milano nel 1907; in seguito spostai l’asse della ricerca a Rovereto, dove Maggioli si trasferì quale vincitore del concorso per l’insegnamento nelle scuole medie.
Maggioli fu internato a Sandbostel dopo l’armistizio, il suo Cantico delle Creature fu eseguito nell’ottobre 1944 presso lo Stalag alla presenza di internati e cappellani militari; nel 1944 risultava altresì scritta a Sandbostel una Missa captivorum con il semplice accompagnamento dell’organo.
Dopo la Guerra, Maggioli tornò a Rovereto e infine si trasferì a Roma; raggiunsi telefonicamente tale Diego Maggioli residente nella capitale e, con sollievo, constatai che si trattava del figlio di Pietro.
Purtroppo Diego mi disse che, durante un trasloco, il Cantico delle Creature andò perduto; l’anima del musicista crollò, quella del ricercatore razionalizzò il fallimento di mesi e mesi di ricerche.
Cercai di capire se si potessero recuperare altre fonti dell’opera e in ciò Diego fu illuminante; egli mi riferì che l’opera fu eseguita nel 1952 dall’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino.
Sapevo che tutti gli archivi musicali della RAI dopo la liquidazione delle proprie orchestre sinfoniche – salvo quella di Torino – furono trasferiti presso il capoluogo piemontese; il responsabile dell’archivio musicale torinese mi rispose che gli archivi precedenti al 1960 non erano stati informatizzati e pertanto la ricerca manuale poteva durare una settimana, un mese, tre mesi.
Non restava che pazientare; per fortuna fu lo stesso archivista a richiamare dieci giorni dopo comunicandomi di aver ritrovato la riduzione voci e pianoforte del Cantico delle Creature.
Certo, non era la partitura ma meglio che niente, perciò mi fu spedita la riduzione; è un’opera bellissima, sacra nel senso più sublime del termine.
A quel punto si metteva in moto l’anima del ricostruttore e riparatore; toccava stendere la partitura al PC e sfruttare tutte le spie degli strumenti annotate da Maggioli nella riduzione.
In poche parole, rimettere i colori laddove oggi c’è soltanto bianco e nero; credo proprio che Maggioli abbia forgiato un capolavoro e inoltre abbia avuto tutto il tempo per crearlo.
Già, il tempo; quello sicuramente non mancava nel Campo e, invero, la più grande ambizione del compositore è probabilmente quella di scrivere musica senza l’assillo del quotidiano.
Per un gioco di lunari paradossi, fu proprio il Campo a offrirgli questa possibilità.
Il recupero accidentato ma a buon fine del Cantico delle Creature risponde a un’immutata linea strategica di ricerca; non un minuscolo frammento musicale creato in cattività sarà lasciato indietro.
Istinti ancestrali di sopravvivenza e timore del fuoco sublimati in inedite combinazioni tra mente e cuore; al di là dell’imponderabile preziosità umana e generazionale dell’intera produzione musicale creata in cattività, siamo dinanzi a grandi capolavori della Musica del XX secolo.
In una Norimberga dei cervelli e dei cuori, la musica scritta in prigionia e deportazione equivale a testimonianza e costituisce la prova inconfutabile della incommensurabilità dell’animo umano, perennemente capace di ergersi sull’umanità dolente e sulle macerie della civiltà.
Francesco Lotoro