Aiutare chi è fuggito dall’Afghanistan,
l’UCEI e l’importanza di gesti concreti

Alcuni sono scappati senza neanche prendere i documenti con sé. Troppa la paura di rimanere ingabbiati in un Afghanistan sotto il dominio talebano. L’aver collaborato a vario titolo con la missione diplomatica e militare italiana li aveva resi un bersaglio per i jihadisti. E così, grazie a un ponte aereo organizzato con voli militari, centinaia di famiglie afghane hanno trovato rifugio in Italia. Ora è iniziata una nuova fase per le loro vite, tra integrazione nella società e iter per ottenere lo status di richiedenti asilo. Per aiutarli nell’inserimento sul territorio si è presto costituita una rete nazionale e locale di organizzazioni e associazioni pronte a dare un proprio contributo. Tra queste, in prima fila, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che ha subito assicurato il proprio impegno.
E ora è coinvolta nel dare sostegno concreto a 17 famiglie afghane, sparse per l’Italia. Ad alcune di loro nelle scorse ore sono stati consegnati ad esempio telefonini e sim per poter comunicare. “Ci hanno accolto in modo molto caloroso, ringraziandoci perché finalmente avevano soprattutto delle sim da poter usare”, racconta a Pagine Ebraiche Elisa Lascar, assistente sociale che si occupa per l’UCEI dell’area del Nord-Ovest. Con una piccola delegazione Lascar ha portato a due famiglie che si trovano in Piemonte i dispositivi. Tra queste, una composta da sette persone. Oltre ai genitori, ci sono cinque figli, dai 17 ai 23 anni. Il più giovane aveva appena finito le scuole, mentre gli altri studiavano all’università a Kabul. “Parliamo di persone molto inserite, con un tenore di vita buono per l’Afghanistan. Hanno dovuto abbandonare tutto, senza preavviso, e ora devono praticamente ripartire da zero”, spiega Silvia Brizio, della Ciano International, azienda che si occupa di ristorazione e opera in zone di guerra e ad alto rischio. Proprio per la Ciano lavoravano alcuni membri delle famiglie portate in salvo in Italia. “Abbiamo avuto collaboratori che si sono rifugiati nelle montagne e che abbiamo aiutato a ricongiungersi ai loro nuclei familiari e a inserirli negli elenchi per partire con i voli militari”, racconta ancora Brizio, in contatto con l’UCEI per quanto riguarda le 17 famiglie a cui prestare assistenza. E tante sono le questioni sul tavolo: dall’iter burocratico per la richiesta asilo, all’inserimento a scuola per i minori, alle lezioni di italiano. “Alcuni mi hanno parlato un po’ in italiano, soprattutto per ringraziarci e poi abbiamo scambiato qualche parola in inglese. – racconta Lascar – Erano curiosi di sapere della Comunità ebraica e mi hanno fatto alcune domande. E poi erano entusiasti di aver ricevuto le sim”. A colpirla, anche la grande ospitalità. Non scontata per chi ha vissuto il completo stravolgimento delle proprie vite e si trova ora in una situazione precaria. “Sono sempre straordinariamente accoglienti”, aggiunge Brizio. “Hanno molto apprezzato il gesto dell’UCEI. So che anche in Veneto sono stati distribuiti cellulari e sim. In ogni caso, anche solo andarli a trovare per loro è un fatto positivo, rompe questa sorta di isolamento in cui si trovano. Certo c’è la difficoltà della lingua, ma parlano inglese e si stanno dando da fare per l’italiano. Molti di loro parlano arabo, pashtu, indi e ho l’impressione che non ci metteranno molto a imparare anche l’italiano. Anche perché sono consapevoli che questo li aiuterà ad emanciparsi un po’”. Un percorso, quello verso l’emancipazione, in cui anche l’ebraismo italiano vuole dare il proprio contributo. Nel segno di una “Indifferenza da respingere” come ricordava il titolo del dossier di Pagine Ebraiche dedicato proprio alla crisi afghana.

Daniel Reichel