Storie di Libia – Perla Barki

Perla, ebrea di Libia. I suoi predecessori vi si erano trasferiti ai primi del Novecento quali commercianti che venivano dalla Turchia. Un bisnonno, Hacham Bashi, era rabbino capo: fu ammazzato dal Vizir al castello. Gli ebrei turchi erano discendenti dalla Spagna, dalla quale erano scappati in seguito all’Inquisizione. Difatti a casa parlavano il ladino, lo spagnolo antico. E come non bastasse una nonna nata a Istanbul era originaria dall’Ungheria.
Con gli arabi Perla non aveva mai avuto contatti, ricorda donne arabe che svolgevano i lavori domestici nella sua casa e quei pochi che davano servizio come il verduraio, lo spazzino e chi portava ogni giorno uova fresche dal pollaio. Frequentava la scuola delle suore e il padre le chiese che non parlasse con le compagne e ancor meno che non si facesse amica loro. Le poche ebree in classe erano sedute lontane una dall’altra, forse le suore predisponevano così. La famiglia rispettava le tradizioni ebraiche un po’ alla turca e un po’ alla tripolina e sempre teneva alto l’orgoglio di essere ebrei. Perla ricorda che la madre citava spesso tanti proverbi in arabo.
Nel 1963 lasciarono Tripoli. La madre, avendo forse la diaspora nelle vene, presagiva che qualcosa potesse succedere da un momento all’altro e ripeteva sempre che la Libia fosse un paese senza futuro e voleva andarsene. Il padre invece pensava che si potesse ancora stare a Tripoli, pur avendo le due porte di ingresso di casa chiuse anche di dentro con le saracinesche di ferro e con una spranga di ferro già dal 1945, quando ci fu il primo pogrom. Ciò nonostante in generale erano ottimisti e cercavano di vivere abbastanza tranquilli. Nel 1962, per fare contenta la madre, il padre andò a fare domanda per i passaporti ma gli furono rifiutati perché non si dava la cittadinanza agli ebrei. Viaggiare era concesso con un travel document lasciando una cospicua caparra oppure a patto che un componente della famiglia restasse in ostaggio. In quel momento il padre di Perla si rese conto che pur essendo nati in quel paese non avevano la cittadinanza libica ed erano cittadini dhimmi. Il razzismo verso gli ebrei era innegabile. Alla fine dei conti riuscirono a lasciare la Libia con un travel document, senza ostaggi e senza caparra, grazie ad uno zio che conosceva una personalità in polizia e pure grazie alla documentazione che certificava diversi interventi subiti da Perla in tenera età, a Milano. Si trovò così la scusa che la malattia la costringesse a recarsi in Italia per cure. Partirono di nascosto senza salutare nessuno. La madre era certa che, se qualcuno l’avesse saputo, la voce sarebbe arrivata alle orecchie sbagliate ribaltando i piani. Anche uno zio di Perla aveva subito un grave sopruso: il suo socio arabo si era impossessato del denaro della società di costruzioni che gestivano. Un uomo della casa reale lo avvertì di scappare perché lo stesso socio lo aveva denunciato e lui rischiava di finire in carcere. Un sopruso garantito dalle leggi dhimmi.
I ricordi personali di Perla che riguardano la Libia sono belli. Posti incantevoli e tutte persone belle e buone sebbene i suoi genitori erano felici di essersene andati. A volte, presa dalla nostalgia, ci ritornava nei sogni, che sempre finivano con la paura che scoprivano che era ebrea. I suoi nipoti sono legati alle usanze tripoline, ad esempio festeggiano il tachlit a Pesach, amano la cucina tripolina e, in particolare, i dolci tradizionali. Così vengono tramandati e lei ritiene che sia giusto. Si sente a casa sua nel mondo ortodosso, ci ritrova molti dei racconti che le faceva sua madre sulla maniera in cui si viveva a Tripoli, e ciò corrisponde all’insegnamento ricevuto. La madre, ricorda Perla, preparava da mangiare per gli anziani dell’ospizio e aiutava le spose povere facendo loro il corredo per il matrimonio. Il padre portava l’olio alla “sla” e i cedri dal loro giardino per Sukkot. Dai genitori Perla ha ricevuto il profondo amore per l’ebraismo e per il popolo di Israele. Guai a fare commenti su altri ebrei.
Alle nostre domande circa la necessità di ottenere il rimborso di quanto confiscato Perla risponde che aspetta che D.O si occupi di questo per loro. “Ogni conto verrà saldato…come quando lasciammo l’Egitto”. Anche sul destino di sinagoghe e cimiteri che non dovrebbero mai essere violati Perla ha la convinzione che il venir meno di questo rispetto sacro possa motivare la brutta situazione in cui versa la Libia attualmente.
Per il monumento alla memoria, la sua idea è che l’eterna gelosia degli arabi per gli ebrei tornerebbe a galla e sarebbe causa di violazione. Perla racconta che il suo bisnonno morì in Anatolia, in un luogo in cui musulmani del posto erano soliti profanare il cimitero ebraico. Per evitare ciò lo dovettero trasportare, avvolto in un tappeto, a Smirne. Perla altresì ritiene che la cultura degli ebrei di Libia possa insegnare tanto alle altre culture. Difficile trovare altri paesi in cui insediamenti ebraici abbiano avuto un passato storico di così tanti anni. Ci sono riti tripolini che hanno un vero e proprio valore storico: come gli sposi, che prima di entrare in casa dopo il matrimonio, gettano una brocca di terracotta piena di acqua all’ingresso. Lo scopo: fare un dispetto al diavolo… che si accontentasse di questo anziché fare del male agli sposi.
Gli ebrei di Libia rispettavano tutte le leggi ebraiche con ingenuità infantile, con “innocenza pulita” dice Perla. Prosegue così: “Il popolo di Israele è a casa solo ad Israele. Negli altri paesi dove siamo la nostra permanenza è temporanea. Le persecuzioni ci ricordano che in altri paesi non possiamo sentirci a casa nostra. Il nostro fine ultimo è Israele.” Aggiunge poi: “Sono certa che quando arriverà il Messia il S. ci chiederà, con dolcezza, come abbiamo fatto a sopportare tutto questo!”.
Se fossero rimasti in Libia Perla ritiene che sarebbe stato molto difficile realizzarsi spiritualmente. Molto difficile soprattutto realizzare il giusto cammino rispettando tutte le regole necessarie per essere vicini a D.O.

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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)

David Gerbi, psicoanalista junghiano

(25 ottobre 2021)