Da Grossman a Keret, a Milano
la letteratura d’Israele protagonista

David Grossman, Eshkol Nevo, Etgar Keret, Abraham Yehoshua. I nomi più celebri della letteratura israeliana saranno protagonisti del novembre milanese, partecipando alla nuova edizione di Bookcity e, in particolare Keret, alla Rassegna Nuovo Cinema ebraico e israeliano organizzata dalla Fondazione Cdec dal 20 al 24 novembre. L’autore di Pizzeria Kamikaze e molti altri racconti di successo si presenterà in una veste un po’ diversa, presentando non un libro ma il cortometraggio Outside – A Covid-19 fairytale, ideato e creato assieme alla coreografa Inbal Pinto. Lo farà il 21 novembre al Castello Sforzesco, dialogando con la direttrice scientifica della Rassegna Nuovo Cinema ebraico e israeliano Sara Ferrari. Sarà lei a presentare nei cinque giorni dell’iniziativa del Cdec – frutto della collaborazione con la Cineteca Milano MEET (ex spazio Oberdan) e con l’associazione JOI – i film proposti quest’anno. “La programmazione di questa edizione – spiegano gli organizzatori – si distingue per l’attenzione a diverse tematiche sociali quali la disabilità, l’orientamento sessuale e l’immigrazione, oltre che ai delicati equilibri dei legami familiari. Verranno proiettati anche tre documentari, di cui due su personalità femminili di fama internazionale (Golda Meir e Lea Gottlieb) e uno dedicato a un singolare esperimento sociale”. Largo anche ai giovani, con tre registi israeliani chiamati a presentare i propri cortometraggi. Ospiti della rassegna saranno inoltre l’architetto Guido Morpurgo, responsabile del progetto del Memoriale della Shoah di Milano, Giorgio Barba Navaretti in veste di discendente e donatore di filmati di famiglia per il progetto Mi Ricordo e lo scrittore e giornalista Wlodek Goldkorn.
Molta Israele e mondo ebraico dunque, sullo schermo come dal vivo, con l’incontro con Keret occasione per guardare al futuro con la chiave ironica che lo contraddistingue. “Se sei pessimista non hai di che essere triste – spiega Keret in un’intervista a Pagine Ebraiche – perché dici: questa è la vita. Ma se sei convinto che ci sia un potenziale, che potremmo essere in un luogo diverso, che ci sia qualcosa di mancante, allora tutto cambia. Io sono sempre stato ottimista, un po’ perché è il mio modo di vedere il mondo ma anche per ideologia e strategia. Non capisco il gusto di pensare che tutto andrà male. Ora, se guardi a Israele, dal punto di vista razionale ci sono tutte le ragioni per non essere ottimisti. Dall’altra parte, quando vivi in un luogo dove senti il desiderio delle persone di cambiamento, la loro frustrazione per la situazione attuale, allora hai una speranza”.