Con Renzo davanti al Rav Sacks
“Parlare con tutti è un nostro dovere”

Durante il limud svoltosi a Roma a un anno dalla scomparsa di Renzo Gattegna, il direttore della redazione giornalistica UCEI Guido Vitale ha evocato un’occasione d’incontro tra l’allora Presidente dell’Unione e l’autorevole Gran rabbino d’Inghilterra e del Commonwealth Rav Lord Jonathan Sacks.
Rav Sacks e Gattegna, ha ricordato Vitale, sono stati richiamati da Hashem a breve distanza uno dall’altro un anno fa. Ma la loro esistenza e il loro esempio, ognuno nella sfera delle sue responsabilità, hanno più da dire al nostro futuro che al nostro passato. “Due persone che provenivano da esperienze molto diverse. Eppure – la testimonianza del giornalista – si creò una straordinaria immediata intesa sulla quale si dovrà raccontare ancora tanto”.
Un ricordo di quell’incontro, con qualche accenno all’intesa fra il Rav Sacks e il leader ebraico italiano, era già apparso sul giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche quando fu pubblicata l’intervista al rav Sacks. Eccone il testo.

Il velluto nero della kippah rischia di trarre in inganno chi non riesce a vedere al di là delle apparenze. Quando appare la pattuglia di professionisti d’eccezione che lo affianca, si potrebbe scambiare lo staff del Rav per un gruppo di giovanotti appena usciti dalla Yeshivah, certo solidamente preparati nelle materie ebraiche, ma poco abituati a destreggiarsi con i media e i giornalisti. Ben Ullmann, il direttore degli Affari pubblici dell’Ufficio del Chief Rabbi ha al fianco Dan Sacker, direttore della Programmazione e della Comunicazione e l’assistente Darren Stalick. Nel momento in cui il rav Sacks fa la sua apparizione, il lavoro preparatorio è ben definito, le regole sono chiare. Sono uomini chiave che lavorano giorno dopo giorno per l’agenda di uno dei rabbini più ascoltati del mondo, lo aiutano a rivolgersi a milioni di persone, ebrei di ogni orientamento e non ebrei, lo assistono nella funzioni di componente della Camera dei Lord.
Giusto un sorriso, una stretta di mano, uno sguardo diritto, intenso. Poi la clessidra del suo tempo comincia a correre e le parole si allineano evitando il superfluo, i giri di fumo. Poche frasi bastano per aprire grandi orizzonti e il giornalista si rende conto di essere davanti a un formidabile comunicatore. Senza una sbavatura, senza un’ambiguità, il Rav sembra scrivere nell’aria con la voce, con i gesti ampi con cui accompagna il discorso. Daniel, il giovane giornalista incaricato dell’intervista, è emozionato. Noi colleghi (Adam Smulevich gli lancia un’occhiata di incoraggiamento) siamo con lui per assistere a un’intervista importante, ma anche per fargli coraggio. Domande e risposte si incontrano senza intoppi. Il Rav usa la stessa intensità nel parlare e nell’ascoltare, diffonde un senso di amicizia che mette tutti a proprio agio. Che si trovi di fronte alla gente della sua sinagoga di St John’s Wood, a pochi passi dallo studio di registrazione da dove i Beatles lanciavano una rivoluzione musicale e un messaggio di speranza alla gioventù di tutto il mondo, davanti alle telecamere della Bbc, assieme ai colleghi della Camera alta nel Parlamento del Regno Unito, che si rivolga alla regina o al papa, che tenga in piedi con il fiato sospeso le migliaia di rabbini e attivisti Lubavitch (molto sperimentati nelle tecniche di comunicazione) all’annuale oceanica convention di Brooklyn, poco importa. Il messaggio deve raggiungere chiaramente l’interlocutore, deve portare un equilibrio attento di amicizia, calore e chiarezza. Il messaggio deve essere chiaro e mettere in luce il valore della tradizione ebraica, la gioia di vivere una vita pienamente ebraica, il dovere che tutti gli ebrei condividono di essere d’esempio, di aiutare e restaurare il mondo ed esaltare il valore della differenza. Il Rav, infine, lo dice chiaro: parlare agli altri, lavorare ad alto livello professionale sul fronte della comunicazione, non è solo una nostra facoltà, ma anche un nostro dovere. Dobbiamo far sapere al mondo che esistiamo e di quali valori siamo portatori. Rinchiuderci nel silenzio, rinunciare alle potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione sarebbe un errore imperdonabile e moltiplicherebbe le insidie che da sempre minacciano una cultura di minoranza. Ma scendere in campo con le proprie parole, con le proprie idee, con il messaggio che gli ebrei si tramandano di generazione in generazione,
non può significare una mitizzazione degli strumenti. E il Rav per primo mette in luce, di fronte alle enormi potenzialità, anche i limiti di strumenti che tendono a rinchiudere la gente nel monologo autoconsolatorio, nella pura affermazione di sé, nell’asserzione che non ammette contraddizione, nella tentazione di alzare la voce che maschera la paura di restare in ascolto. Sono trascorsi appena quindici minuti, la tensione si è allentata, l’orizzonte è nitido. Le parole hanno preso forma, i progetti sembra di poterli toccare con mano. Prima della benedizione e del congedo, il Rav si intrattiene ancora con il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. L’intervista è ormai conclusa, i due leader si scambiano confidenze, opinioni e prospettive sul dialogo, sull’Europa, sul lavoro da compiere che attende le istituzioni ebraiche. Lo staff del Chief Rabbi dà un segno, è ora di rientrare a Londra. “Si torna al lavoro”, dice il Rav con un sorriso. Nelle ore intense che si lascia alle spalle, l’incontro con la Comunità nel tempio di via Padova, il colloquio con il papa, la lezione alla università Gregoriana e lo splendore di Roma alla prima luce dell’inverno.

g.v – Pagine Ebraiche gennaio 2012

(L’incontro del rav Sacks con la redazione di Pagine Ebraiche, mentre sfoglia il giornale dell’ebraismo italiano con l’ex Presidente UCEI Renzo Gattegna)