Libertà di stampa
Tra le cose di cui non si percepisce l’importanza finché non se ne viene privati temo si debba includere la libertà di stampa. Ancora una volta (e non è la prima) sono rimasta sconcertata dalla scarsa considerazione di cui gode questo diritto agli occhi di alcuni miei allievi, prontissimi a invocare censure e sanzioni a tutela di altri interessi che a loro appaiono prevalenti, quali la privacy, la reputazione, ecc. A qualcuno non passa proprio per la testa l’idea che esista un diritto-dovere di informare il pubblico e, soprattutto, un diritto della collettività ad essere informata. Ho l’impressione inoltre che fatichino a cogliere le differenze tra giornali e social network, e in sostanza tendono ad attribuire ai primi tutte le caratteristiche negative proprie dei secondi: diffusione di fake news, discorsi d’odio, diffamazione, ecc; come se il giornalismo non fosse altro che questo.
Il fatto che i giornalisti siano professionisti dell’informazione non sembra sufficiente per farli apparire più attendibili agli occhi dei giovani, anzi, essere pagati suscita di per sé diffidenza. È un modo di ragionare piuttosto frequente, che porta a mettere in discussione non solo i giornalisti ma anche gli insegnanti, i medici, gli scienziati, le case farmaceutiche, ecc. E non occorre spendere troppe parole per illustrare quanto sia deleterio, dato che porta a dubitare proprio delle persone più competenti. Fortunatamente mi pare che nel mondo ebraico questo modo di pensare sia meno diffuso che nel resto della società; non sono sicura, però, che questo basti a far percepire l’importanza della libertà di stampa almeno nel nostro ambiente: la tendenza a darle poco peso e a subordinarla ad altre priorità mi pare troppo diffusa nella società per sperare di non esserne influenzati. Molto opportuno, dunque, che ieri sera nel Limmud in memoria di Renzo Gattegna z.l. sia stata sottolineata anche l’importanza che attribuiva al suo ruolo di editore: mi pare persino superfluo ricordare quanto la sua presidenza sia stata determinante per lo sviluppo dei media dell’UCEI.
L’introduzione dell’educazione civica come disciplina a sé potrebbe essere utile per far crescere nei giovani la consapevolezza di quanto una stampa senza bavagli sia indispensabile in una democrazia? È auspicabile ma è tutt’altro che scontato perché sottovalutazioni e pregiudizi sono diffusi anche tra gli stessi insegnanti. Se non altro possiamo consolarci con il pensiero che questa scarsa attenzione dipenda anche dal fatto che nella percezione comune la libertà di stampa non appare minacciata. Speriamo che sia vero.
Anna Segre
(29 ottobre 2021)