Contro i pregiudizi, l’umorismo ebraico
Ricordare Lele Luzzatti attraverso uno dei suoi caratteri più evidenti, l’umorismo. Da qui prende spunto la conferenza tenuta da David Meghnagi, docente di psicologia clinica all’Università di Roma Tre, a Palazzo Ducale di Genova e intitolata “Immagini dell’ebreo e dell’antisemita nell’umorismo ebraico”. Un incontro organizzato da Casa Luzzati nell’ambito del FestivaLieve e occasione per ricordare il grande artista genovese. Di seguito uno stralcio dell’intervento di Meghnagi. Il testo integrale sarà pubblicato sulla rivista Trauma and Memory.
Di fronte all’accusa antisemita, l’ebreo è in una situazione kafkiana sono in una situazione kafkiana. Qualunque cosa si dica, è usata contro. La “colpa” di cui si è in realtà accusati non è legata ad atti commessi. È una colpa “ontologica”, che trascende la responsabilità per gli atti realmente compiuti. In questa logica perversa si è colpevoli in partenza per il solo fatto di esistere. Le accuse sono delle razionalizzazioni di un pregiudizio più antico, che deve essere confermato indipendentemente dai fatti discussi. L’umorismo ebraico è la risposta creativa a questa situazione, la difesa di chi sa già in partenza che affrontare l’antisemita sul suo terreno è già “un’ammissione” di colpa, che mette a dura prova l’integrità morale e psichica della vittima. Per questo motivo l’umorista non censura le accuse. Portando la sfida all’estremo, la fa apparentemente sua e la depotenzia, facendo scaturire significati nuovi che la smascherano. L’effetto è catartico. L’ebreo può ridere delle sue angosce e paure. L’antisemita può liberarsi della sua paranoia.
L’apparente messa in discussione di alcuni aspetti della vita ebraica determina un inaspettato capovolgimento di valori, che fa scaturire significati nuovi e opposti. Le tensioni della vita ebraica sono artificialmente riprodotte e drammatizzate con lo scopo di liberare chi ne è oggetto dal fardello che impongono. Alla fine è l’accusatore che ha qualcosa da apprendere.
L’apparizione dell’altro con le sue accuse è nelle battute umoristiche più riuscite uno strumento potente di autocomprensione individuale e collettiva, una via verso la simbolizzazione e la conoscenza. Nell’umorismo ebraico la tensione fra il registro dell’accusa e quello dell’autodifesa può essere tale che basta poco per snaturare il significato. La stessa battuta raccontata in situazioni “non empatiche” può essere fraintesa. Chi si è sbellicato dalle risa ascoltando una storiella il giorno prima in casa di amici, potrebbe provare una sensazione di disagio se la situazione in cui l’ascolta è non “amichevole” o, peggio, ostile. La costruzione del motto umoristico è complessa e delicata. Il piacere è collegato all’ordinamento di senso che mette ordine a una doppia confusione, risultato momentaneo di un’unificazione degli opposti e di un superamento delle scissioni interiori. Il godimento nel motto poggia sulla reciproca rassicurazione d’aver per un momento distrutto, ma anche e soprattutto di essere riusciti a ricostruire; di avere per l’appunto creato, sia pur nei limiti del motto, qualcosa di nuovo. I motti buoni si trasmettono e girano di bocca in bocca perché testimoniano questa riuscita. Le storielle più riuscite sono spesso riadattate e riattualizzate per fare posto a nuovi insight. “Non so del resto se accada spesso che un popolo rida tanto della propria indole”, scriveva Freud nel 1905. L’affermazione vale anche oggi, nella vita della diaspora e in Israele, dove gli ebrei sono “la maggioranza”.
Per dispiegare pienamente i suoi effetti, il motto richiede che siano presenti tutti gli elementi per cui è stato ideato. Ha bisogno del suo pubblico, che deve sapere che a raccontare è “qualcuno di noi”, che la situazione è, per così dire, heimlich. Altrimenti la storiella, soprattutto se è delle “più feroci” e “autolesive”, rischia di essere stravolta nei suoi significati profondi… Capitò anche a Freud di fraintendere per vera una battuta “nera” nella Berlino degli anni trenta… Nell’umorismo l’elemento comico è collegato alle funzioni del Super Io e non per caso proprio a partire dall’umorismo Freud cercò di approfondire aspetti trascurati delle funzioni del Super Io. Nell’Umorismo, il Super Io compare come un padre che protegge l’Io dall’angoscia e lo consola.
David Meghnagi, psicoanalista