Il rapimento di Edgardo Mortara,
una storia di famiglia

Per quasi un secolo e mezzo “Il rapimento di Edgardo Mortara”, quadro dipinto nel 1862 da Moritz Daniel Oppenheim, si pensava perduto. Poi riemerse nel 2013 e fu acquistato dalla famiglia americana Schottenstein, rimanendo così in mano di privati, lontano da mostre e musei. Almeno fino ad oggi. Perché il quadro di Oppenheim – che fa riferimento alla drammatica vicenda del bimbo sottratto nel 1858 dalla Chiesa alla sua famiglia ebraica, evento divenuto un caso internazionale – è ora uno dei grandi protagonisti della mostra Oltre il Ghetto. Dentro & Fuori (29 ottobre – 15 maggio) del Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara. Grazie al prestito della famiglia Schottenstein, l’opera è visibile al grande pubblico. Per la prima volta dopo 150 anni. E tra coloro che, con grande emozione, hanno potuto ammirarla dal vivo, ci sono anche i discendenti del piccolo Edgardo: Carlo Andrea, Elèna, Paola e Giorgio, pronipoti del bambino. I loro nonni, Vittorio e Roberto Mortara, erano figli di Ernesta, sorella maggiore di Edgardo.
“L’arrivo di questo quadro è un evento da celebrare per l’Italia ebraica e non solo. Nel dipinto c’è il racconto di un evento che ha segnato la storia dell’ebraismo italiano e dell’intero paese” le parole di Elèna Mortara a Pagine Ebraiche, a pochi passi dal quadro. Autrice di Writing for Justice dedicato proprio al caso Mortara, Elèna assieme ai fratelli Carlo Andrea e Paola e al cugino Giorgio, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, hanno colto l’occasione per farsi ritrarre accanto al dipinto.

(Nella foto vicino a “Il rapimento di Edgardo Mortara”, esposto al Meis, da sinistra Carlo Andrea, Elèna, Giorgio e Paola Mortara; ultimo a destra, Ari Kinsberg, in rappresentanza di Jay e Jeanie Schottenstein, proprietari del quadro: foto di Enrico Aliverti Piuri)