Shoah e politically correct,
ovvero della stupidità

Southlake, Texas. Alla Carroll Independent High School, durante una riunione di insegnanti dedicata alle biblioteche e all’uso dei libri in classe, la direttrice esecutiva per il curriculum e l’istruzione presso il locale distretto scolastico Gina Peddy ha affermato che, per rispettare il provvedimento di legge 3979 recentemente approvato dallo Stato del Texas e teso a garantire agli studenti una molteplicità di prospettive, sarebbe opportuno che i testi sull’Olocausto presenti in classe fossero controbilanciati da pubblicazioni che sostengono posizioni opposte. Le obiezioni e le proteste di molti insegnanti ed ex studenti della scuola rispetto a una direttiva inquietante (qual è l’orientamento opposto all’insegnamento della Shoah?) che rischia di favorire la diffusione tra i giovani di posizioni negazioniste hanno provocato una rapida ma parziale retromarcia delle istituzioni scolastiche, senza alleggerire preoccupazione e polemiche.
Ma cosa c’è alle spalle di tutto questo? Per comprendere l’intelaiatura più complessa ma altrettanto assurda in cui l’episodio si inserisce, occorre riferirsi alla Critical Race Theory (CRT nel dibattito polemico in corso negli USA), una articolata elaborazione critica intorno al tema del razzismo negli Stati Uniti maturata durante gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso negli istituti giuridici degli ambienti accademici americani: posizioni/situazioni discriminanti e di fatto razziste o potenzialmente tali si anniderebbero in modo strutturale in varie zone della società e delle istituzioni americane, provocando divisioni ormai consolidate e degenerando talvolta in crisi violente. Il clima pesante lasciato nel Paese dall’omicidio di George Floyd e di altri afroamericani, l’onda accesa e trainante del movimento Black Lives Matter hanno favorito la ripresa e la diffusione di quella vecchia posizione intellettuale sino a farne un cavallo di battaglia della protesta nera e liberal contro pezzi delle istituzioni (contro la polizia in particolare). A loro volta, settori consistenti del mondo conservatore statunitense facenti capo al partito repubblicano e vicini alle posizioni di Trump vedono nella CRT l’impianto ideologico di base della protesta afroamericana, alterandone sensibilmente i reali contenuti sino ad affermare che la critica sulla razza vedrebbe in ogni uomo bianco un razzista o presunto tale. In alcuni Stati degli USA (Texas, Tennessee, Washington) è nata una vera e propria crociata conservatrice contro questa ideologia, cioè contro l’antirazzismo e contro ogni discorso e riferimento relativo alle discriminazioni razziali in America. Di fatto, la superficialità regna sovrana tanto tra gli attivisti di Black Lives Matter quanto tra i reazionari sostenitori di Trump: i contenuti, le idee vengono da entrambi i gruppi semplificati e appiattiti al massimo (qualcuno parla a ragione di essenzialismo etico); da una parte e dall’altra tutto pare ridursi – come in un cartone animato giapponese – a una lotta tra il Bene e il Male, dove il Male è sempre lo schieramento avverso destinato alla sconfitta. Nessuna sfumatura di differenza e di gradualità, nessuna visione strutturale, nessuna profondità di immagine. E, insieme, una tendenza prescrittiva verso quello che ciascun settore considera il “politically correct”, senza che venga lasciato più margine alcuno a una libertà critica.
E la Shoah in tutto ciò? Questa visione ottusa, priva di prospettiva e di fatto coercitiva è arrivata fatalmente a travolgere anche la didattica e lo studio dell’Olocausto. La lotta senza quartiere a ogni riferimento al razzismo messa in atto dai conservatori anti-BLM, unita a una paradossale esibizione di equilibrio (sic!) informativo non poteva non investire – complice l’atteggiamento di vari genitori preoccupati dalla circolazione tra i loro figli di libri e insegnamenti anti-razzisti – lo sterminio degli ebrei e la sua storia, con un pericoloso effetto pro-negazionista.
Infine, quali possono essere le conseguenze di uno sguardo, come quello così diffuso ai nostri giorni, incapace di scrutare in profondità nella situazione storica, sociale, culturale complessiva ma volto solo alla propria autoesaltazione e alla demonizzazione dell’avversario? Nell’insieme, una perdita di capacità di analisi, di competenza costruttiva, di volontà di mediazione politica; cioè un incremento evidente della conflittualità globale. Nello specifico ambito della conoscenza/comprensione storica, la tendenza a non individuare l’essenza dei fatti e la loro radice; in questo caso, a non cogliere l’orrore dello sterminio premeditato e realizzato con sistematicità industriale – a non cogliere cioè quello che è l’abisso criminale dell’età contemporanea, ma a vedervi solo una visione opinabile, da negare o da racchiudere entro le maglie del politicamente corretto. L’obiettivo, in questo clima pesante, non è più conoscere la realtà del passato e del presente, ma isolare la presunta identità del nemico che deve essere distrutta con lui.
David Sorani